Nel mare nostrum
il gas vale più della vita

Nella storia il Mediterraneo è stato un grande bacino di commerci, conflitti e riconciliazioni. A questa regola non sfugge nemmeno oggi, con Stati in guerra che si affacciano sulle sue acque: dalla Libia alla Siria a Israele. Si combatte anche per le risorse energetiche (petrolio e gas) di cui il Mare Nostrum è ricco e non ancora sfruttate. Fra martedì e mercoledì scorso la Turchia e la Grecia hanno mobilitato decine di navi, forze speciali, aerei da guerra F 16 e Mirage 2000, droni e velivoli da trasporto. Era dall’invasione di Cipro nel 1974 che le due nazioni, aderenti alla Nato, non si fronteggiavano con tale durezza. La miccia è stata l’invio di Ankara della nave esplorativa «Oruc Reis» a caccia di giacimenti energetici nelle acque fra le isole di Kos e di Kastellotizo (resa famosa dal film «Mediterraneo» di Gabriele Salvatores).

Per Atene quel tratto di mare è di sua pertinenza, anche economica. La Turchia però non ha mai accettato questa delimitazione e anzi la nuova politica neo imperialista del presidente Recep Erdogan, non a caso chiamato «il Sultano», ne chiede la revisione ampliando i propri spazi, smilitarizzando una dozzina di isole nel mar Egeo a ridosso della costa turca continentale. In gioco non ci sono solo enormi riserve di gas, ma anche le future arterie energetiche e un’enorme quantità di merci: con l’ascesa della Cina e di altri giganti asiatici come l’India, le rotte commerciali subiranno cambiamenti come non si erano visti dalla scoperta dell’America, secondo esperti di commercio mondiali.

Erdogan ormai spadroneggia non solo nei suoi confini (emblematica la trasformazione del museo di Santa Sofia in moschea con un semplice tratto di penna, senza una mediazione con i cristiani ortodossi storicamente legati all’ex basilica) ma anche all’esterno, entrando a piedi uniti nel conflitto libico con armi e uomini e ribaltandone la sorte, liberando Tripoli dall’assedio del generale Khalifa Haftar, ora in disarmo, e rafforzando il potere del presidente legittimo Fayez al-Serraj. Ma anche ricattando l’Europa, usando i 3 milioni di profughi siriani in Turchia come pedine.

E a proposito di migranti, c’è un tratto del Mediterraneo, quello centrale, dimenticato dalle grandi potenze e dalla comunità internazionale. Qui va in scena un altro traffico, quello di chi scappa dall’Africa e dall’Asia, che ci consegna anche centinaia di morti naufragati. Nessuno ad esempio è intervenuto in soccorso di un gommone in avaria e sgonfiato con a bordo 120 persone (24 minori). È stato avvistato dall’aereo della ong tedesca «Sea Watch», lo stesso che ha individuato due cadaveri in mare: uno martedì scorso, il primo il 29 giugno, trascinato alla deriva da un gommone sgonfio, senza che uno Stato costiero si prendesse l’onere e l’onore di andare a recuperare quel corpo senza vita. Da tempo il Mediterraneo centrale è senza testimoni, salvo poche navi delle ong, che denunciano stragi occultate. Ci sono le nostre navi militari ancorate in Libia nell’ambito dell’operazione «Irini» ma hanno il solito compito di vigilare sull’embargo contro il traffico d’armi al Paese in conflitto.

Per il secondo anno di fila la Guardia costiera italiana non ha presentato il report sulle attività di ricerca e soccorso in mare. Il numero di interventi sarebbero ormai risibili. Da molti mesi inoltre le navi ammiraglie come la «Diciotti» e la «Gregoretti» non effettuano un solo salvataggio e sono costrette a navigare sotto costa in attesa di poter tornare al largo, mentre le motovedette raramente sono autorizzate a uscire dalle 12 miglia delle acque territoriali. Nonostante questa politica attendista, gli sbarchi proseguono, a conferma che non è la presenza di navi di salvataggio nel Mediterraneo ad attirare le migrazioni. Ieri il sindaco di Lampedusa Totò Martello si è detto pronto a dichiarare lo stato di emergenza, se non lo farà il governo («l’hotspot non è più in grado di accogliere altri profughi» ha detto il primo cittadino). Il governo Conte nel settembre 2019 aveva raggiunto il primo accordo Ue sulla redistribuzione dei migranti, tra Francia, Germania e Malta.

L’immigrazione è un fenomeno complesso e globale che richiede quindi risposte globali, anche nei Paesi d’origine degli stranieri. Varia con fragili mutamenti: la crisi politica a Tunisi ad esempio ha spostato una parte delle partenze dalla Libia alla Tunisia. Ma la salvaguardia della vita è sacra. E si dia una sepoltura degna ai corpi alla deriva.

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