Nord Corea instabile
Uno snodo storico

L’ instabilità interna in Corea del Nord è una notizia pessima per la comunità internazionale, già alle prese con il coronavirus: l’ Asia potrebbe ora tornare prepotentemente al centro di nervosi giochi geostrategici.
Negli ultimi tre anni, malgrado i persistenti venti di guerra, la spirale verso l’ abisso ha rallentato per il riannodarsi del dialogo (anche se balbettante) tra Seul e Pyongyang, per le trattative congelate sul programma nucleare del nord tra Kim Jong-Il e Donald Trump, per l’ apparente distensione voluta da cinesi e russi con i giapponesi attenti osservatori. Gli interessi in campo sono tuttavia opposti, se non contrastanti: se Seul (che ha l’ 11ª economia al mondo) è convinta che in un tempo non lontano l’ unione del Paese si realizzerà sotto la propria egida come successe alla Germania occidentale post caduta del Muro di Berlino, Pyongyang continua ad investire sulla propria unicità, elemento fondamentale per la sopravvivenza della propria leadership, da quasi 7 decenni al potere.

Il 38° parallelo, ultimo bastione della Guerra Fredda, continua pertanto a dividere 50 milioni di ricchi capitalisti coreani del sud dagli altri 23 milioni, impoveriti del nord, oggi in una situazione socio-economica simile a quella in cui si ritrovò l’ Unione sovietica tra l’ 89 ed il ’91 prima del crollo dell’ Urss e del passaggio dal sistema comunista all’ economia di mercato. È vero, Kim e Trump non hanno trovato l’ accordo nel summit bilaterale sullo smantellamento del programma nucleare nel febbraio 2019 ad Hanoi, rompendo clamorosamente.

Ma ancora più incredibilmente i due leader si sono stretti la mano quattro mesi più tardi a Panmunjeon nella zona demilitarizzata. In questo breve lasso di tempo i missili di Kim hanno, però, continuato ad essere lanciati nel mare del Giappone e i caccia sudcoreani - secondo Seul nel peggiore incidente post guerra del 1950-53 - hanno aperto il fuoco per avvertimento contro velivoli russi in ricognizione programmata insieme ai cinesi su isole contese dell’ area.

E non va nemmeno dimenticata la tensione alle stelle dell’ autunno del 2017, quando ad un certo punto sembrava che la flotta americana si stesse posizionando davanti alle coste del nord per radere al suolo le installazioni atomiche di Kim e la luce verde all’ attacco era data a Washington per imminente.

Al momento attuale, quindi, potremmo essere davanti ad uno snodo cruciale della storia. Ma attenzione. Dal punto di vista geopolitico, a differenza di Michail Gorbaciov nell’ autunno 1989, cinesi e russi hanno l’ interesse a mantenere in piedi a Pyongyang un regime fedele, evitando così la riunione delle due Coree. Né Pechino né Mosca intendono soprattutto vedere gli americani superare il 38° parallelo, attestandosi a ridosso delle loro frontiere. Non si dimentichi che il sito nucleare del nord dista circa 350 chilometri in linea d’ aria da Vladivostok, il maggiore porto sul Pacifico. La flotta russa rischierebbe di venire imbottigliata se i militari Usa si spingessero così a nord. Le difficoltà impreviste di Donald Trump in campagna elettorale per la rielezione alla Casa Bianca in novembre e le sue continue polemiche coi cinesi sia per lo scoppio del coronavirus sia per la «guerra commerciale» in corso da tre anni tra Washington e Pechino rischiano di esacerbare ancora di più la situazione.

Questo è il momento in cui servono nervi saldi e leader pacifici nonché avveduti. Anche perché potrebbe essere forte la tentazione di giocare la «carta» coreana in chiave interna per far dimenticare i problemi economici connessi con la pandemia.

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