Occupazione, il punto
di equilibrio di Draghi

La paura è che in estate si apra una spaventosa voragine dove potrebbero precipitare tutti insieme almeno 500 mila posti di lavoro, finora protetti dal blocco dei licenziamenti e dagli ammortizzatori sociali. Ecco la questione che sta all’origine della polemica che si è sviluppata intorno alla norma di proroga del blocco che il ministro del Lavoro Orlando ha inserito nel testo del Sostegni bis e che ha provocato le ire del presidente della Confindustria Bonomi e, a catena, la reazione di segno opposto da parte dei sindacati. Il testo in questione faceva slittare il divieto di licenziare fino ad agosto e in certi casi a dicembre ma, di fronte all’alzata di scudi degli imprenditori, si è scelta una mediazione - come ha spiegato Draghi da Bruxelles - tra quanti volevano la proroga tout court del blocco (Orlando, i sindacati, la sinistra del governo) e quanti lo avrebbero voluto cancellare immediatamente (la Confindustria).

La mediazione prevede che dal primo luglio non ci sia più un divieto assoluto alle imprese di licenziare ma al suo posto un forte incentivo (Cig gratuita) per chi evita il taglio dell’occupazione. Il presidente del Consiglio si è intestato personalmente questa soluzione mediana sperando che trovi più o meno tutti (s)contenti e comunque «eviti una polemica non giustificata e priva di fondamento». Peraltro Bonomi aveva accusato con i suoi toni consueti il responsabile del Lavoro di aver agito «con slealtà», senza cioè averlo concordato il passo, e di aver inserito la norma all’ultimo momento «e con l’inganno». I sindacati invece hanno accusato il governo di «aver ascoltato un po’ troppo la Confindustria».

Ancora dunque si è imposta una prova di equilibrio tra le parti sociali e il governo direttamente da parte di Palazzo Chigi impegnato nella sua corsa contro il tempo: da una parte si deve innescare la ripresa dell’economia attuando in fretta i meccanismi del Pnrr e i fondi europei, dall’altra è imperativo evitare o attenuare lo tsunami di un crollo dell’occupazione dovuto sia alla crisi pandemica sia alla scarsa crescita degli ultimi anni. Bisogna dire che in questa occasione la polemica all’interno della maggioranza non si è accesa come su altri argomenti: se Pd e M5S si sono schierati con Orlando (parole molto nette a suo favore le ha pronunciate il ministro grillino Patuanelli) lo stesso Matteo Salvini non ha usato parole incendiarie schierandosi sia a tutela dei posti di lavoro che a sostegno alle aziende.

Ciò non toglie che il governo di mediazione in mediazione - che ogni volta si raggiunge grazie all’autorevolezza di Draghi che non esita mai nell’usare i propri poteri di presidente del Consiglio - comincia ad avere un problema di baricentro politico che si accentuerà nei prossimi mesi, man mano che ci avvicineremo alle elezioni amministrative di ottobre, primo test post-pandemia per i partiti. Se Salvini ha il problema di non farsi scavalcare «a destra» dalla sua alleata-concorrente Giorgia Meloni che gli insidia il posto di leader del primo partito italiano, nello stesso tempo il segretario democratico ha imboccato (per certi versi sorprendentemente) una strada decisamente «di sinistra», fortemente identitaria, che punta a riunire nel Pd tutti gli spezzoni gauchisti che da Renzi in poi si sono dispersi qua e là. Se l’operazione riesce, Letta potrà godere di un patrimonio elettorale superiore al venti per cento ma contemporaneamente porrà a Draghi più di un problema. Lo si è già visto quando ha proposto di aumentare le tasse di successione per aiutare i giovani ad inserirsi nella vita professionale: Draghi ha immediatamente dato lo stop provocando però l’irritazione e le rimostranze di via del Nazareno.

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