Opposizioni divise su Kiev: gioco facile per Meloni

ITALIA. Non ha esitato, Giorgia Meloni, ad affondare la lama nelle contraddizioni delle opposizioni.

Nella replica al Senato sulle comunicazioni in vista del complicato Consiglio europeo a Bruxelles, la presidente del Consiglio ha risposto a Matteo Renzi che le aveva rimproverato di non aver cercato una convergenza con le opposizioni come è normale che si faccia quando si parla di politica estera. Meloni ha risposto: certo che avrei preferito un’intesa con l’opposizione… ma quale opposizione? Dopodiché si è messa a sintetizzare le sei - diconsi sei - mozioni presentate da tutti i componenti del campo largo e affini. Le divergenze all’interno di quella montagna di parole sono pressoché insuperabili. Esempio, gli asset russi. Per il Pd, Azione e Italia Viva al Consiglio europeo si dovrà prendere una risoluta decisione per immobilizzare e usare i fondi di Mosca per la ricostruzione dell’Ucraina, costi quel che costi. Viceversa il M5S è decisamente contrario a questa misura. Armi: per il Pd il dodicesimo pacchetto di misure pro Kiev che il Governo varerà prima della fine dell’anno dovrà contenere tutto ciò che è necessario alla difesa dell’Ucraina dall’aggressione dell’armata russa, quindi comprese le armi (conta meno che Schlein probabilmente non la pensi così ma la minoranza interna farebbe la rivoluzione se la linea tradizionale fosse cambiata o invertita). Neanche per idea, insorgono il M5S e anche AVS, quest’ultima rappresentante parlamentare dei fronti pacifisti più radicali: di armi ne abbiamo mandate fin troppe. Non solo, il M5S di Conte si spinge addirittura a chiedere che il Governo riconsideri la decisione di non importare più gas e petrolio dalla Russia, e questo quando tutta l’Europa a parte Orban pensa che si debbano chiudere i rubinetti di Mosca una volta per tutte.

Le opposizioni divise

Come si vede, sono indicazioni diametralmente opposte, si potrebbe dire: una guarda a Bruxelles e l’altra verso Mosca. E a questo punto Meloni non si è trattenuta: se voi foste al governo, ha chiesto, come farebbe il vostro presidente del Consiglio a presentarsi a Bruxelles con una posizione italiana minimamente coerente? Arduo controbattere.

Peraltro lo spettacolo che i leader del campo largo (ma ha ancora senso chiamarlo così, sia pure per brevità?) hanno offerto alle telecamere durante il dibattito in aula è stato più che esplicito: quando ha preso la parola Schlein, Conte è uscito dall’emiciclo; quando è stata la volta di Conte, Schlein non ha applaudito. I rapporti tra i due sono al minimo storico, e c’entra molto quello che è accaduto ad Atreju dove Schlein ha fatto un errore fatale quando ha preteso, per partecipare alla festa di FdI, di confrontarsi con la Meloni ricevendo da quest’ultima una risposta furbissima: sono disponibile a parlare ma con tutti e due, Conte e Schlein, non essendo chiaro chi di voi sia il leader del centrosinistra. A quel punto Schlein si è ritirata (e così è stata criticata per essere l’unica leader del centrosinistra assente alla kermesse) e Conte ne ha approfittato per prendersi la scena da solo. Ma non del tutto, perché anche lui alla fine è stato colpito e affondato da Meloni che non si è presentata all’appuntamento e gli ha mandato un giornalista ad intervistarlo, cosa di cui l’avvocato si è molto piccato. Ma proprio in quell’occasione a domanda: «Siete alleati con il Pd?», l’avvocato ha risposto: «No», aggiungendo: «Col Pd verifichiamo di volta in volta». E così la volontà «testardamente unitaria» della segretaria del Pd è stata messa nel sacco esponendosi a critiche da ogni parte. Non stupisce insomma che dalle parti dell’opposizione ci sia una temperatura molti gradi sotto lo zero…

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