Parole che pesano ed errori nel valutare la guerra

Al 72° giorno di guerra in Ucraina, forse per la prima volta ci tocca dire che, nonostante le bombe, i combattimenti dell’Azovstal, i missili che ogni notte cadono sulle città e sugli obiettivi strategici, il fatto più importante sono le parole. Quelle che Andrey Turchak, segretario di Russia Unita, il «partito di Putin», ha dettato da Kherson, la città ucraina occupata dai russi: «Una cosa dev’essere chiara a tutti: la Russia è arrivata fin qui e qui resterà per sempre».

E quelle che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha pronunciato alla Chatham House, il prestigioso centro studi di Londra, dove ha detto di essere disponibile a un accordo purché la Russia si ritiri sulle posizioni del 23 febbraio, cioè di prima della guerra. Il che vorrebbe dire, per l’Ucraina, rinunciare alla Crimea e al Donbass delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk.

Nella stessa occasione Zelensky ha anche detto di essere stato eletto Presidente «dell’Ucraina e non di una mini Ucraina… la vittoria per me è non perdere 11 milioni di persone», riferendosi ai territori attualmente occupati dalla Russia e ai 5 milioni di ucraini attualmente profughi all’estero. Non è una considerazione da poco, perché presuppone l’ipotesi che i territori occupati dai russi non possano essere riconquistati e che gli ucraini fuggiti dalla guerra possano anche non rientrare in un Paese che sarebbe mutilato nel territorio e devastato nelle risorse. Non è detto che succeda. Nell’insieme, però, queste dichiarazioni, forse per la prima volta nelle ormai dieci settimane trascorse dall’inizio della guerra, trasmettono un’immagine meno combattiva e ottimista di Zelensky. Al contrario: quella di un leader preoccupato e forse conscio che la vittoria sul campo, ammesso che arrivi, avrà comunque un prezzo insopportabile.

Ancora una volta, peraltro, risulta difficile comporre gli avvenimenti in un quadro coerente. A dimostrazione di quanto i servizi di intelligence occidentali siano ormai coinvolti nelle operazioni militari, i russi hanno subito il danneggiamento della fregata «Admiral Makarov» al largo di Odessa, dove già era stata affondato l’incrociatore «Moskva». Sono colpi (come gli attacchi mirati agli alti ufficiali russi, come gli attentati in territorio russo) che i soli servizi ucraini, per quanto diventati più efficienti dopo le recenti riforme, non avrebbero potuto portare da soli. E che un certo tratto di mare sia diventato tanto pericoloso per le operazioni navali, dimostra che anche gli analisti americani e inglesi sono convinti che, messa a tacere la resistenza ucraina a Mariupol’, i russi vogliano passare all’attacco di Odessa, per rendere totale la spoliazione degli accessi al mare dell’Ucraina e completare l’arco di conquista del territorio ucraino che va da Nord a Sud, dalla Bielorussia alla Moldavia. L’attivismo occidentale nel sostenere, ormai apertamente, le incursioni ucraine lascia anche presupporre un’altra considerazione. La Russia, ovviamente, capisce bene quanto avviene ma in concreto non può reagire, almeno non fuori dal campo di battaglia ucraino, perché ciò vorrebbe dire attaccare un Paese Nato e scontrarsi con l’intera Allenza. Così le forze russe proseguono con la strategia scelta un mese fa: avanzano poco per non rischiare troppe perdite ma pezzo per pezzo smantellano l’Ucraina e le sue infrastrutture, la costringono a razionare la benzina e l’acqua, la privano delle riserve di cibo, bloccano l’agricoltura nella stagione della semina.

Questo è, a sua volta, uno sviluppo inatteso per i Paesi che appoggiano l’Ucraina e che, a quanto pare, contavano su una più rapida ritirata dello spirito bellico russo. Gli Usa stanno diventando frenetici nel fornire armi a Kiev, arrivando addirittura a sovvenzionare l’industria nazionale degli armamenti affinché supplisca ai vuoti creatisi negli arsenali. La Ue, dopo aver sanzionato tutto il sanzionabile, è arrivata a fare i conti con le importazioni di gas e petrolio e lì si è arenata. Sono ormai molti i Paesi che chiedono di poter continuare a usufruire delle forniture russe o di avere, almeno, congrue compensazioni per i danni che potrebbero subire le loro economie. Aleggia su tutto e su tutti uno spettro: aver sottovalutato la portata e, soprattutto, la possibile durata di questa guerra.

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