Pena di morte, invocarla è aggiungere odio a odio

MONDO. L’America che invoca la morte come giustizia appare sempre più lontana dall’Europa che la bandì con la ragione illuminista.

Dopo la morte del giovane Charlie Kirk e l’arresto del presunto colpevole Tyler Robinson, Donald Trump ha invocato la pena di morte. Non è la prima volta. Si inserisce in un lungo percorso politico: aggiungere odio a odio, alimentare quella spirale di violenza che continua ad avvelenare l’America. C’è un filo rosso che attraversa la sua carriera pubblica: la convinzione che la pena capitale sia l’unico deterrente efficace contro i crimini più efferati. Nel 1989, in una New York segnata dal crimine, comprò intere pagine pubblicitarie sul New York Times, sul Daily News e sul New York Post per chiedere il ripristino della sedia elettrica nello Stato. L’occasione fu lo stupro di una jogger a Central Park. Pur senza nominare i cinque ragazzi afroamericani e ispanici arrestati, poi riconosciuti innocenti, il suo intervento fu interpretato come un attacco diretto a loro.

Usa, esecuzioni in aumento

Dopo l’attentato di Manhattan del 2017, quando un estremista islamista uccise otto persone travolgendole con un furgone, twittò: «Il terrorista di New York dovrebbe ricevere la pena di morte!». Nel 2018 e 2019 estese la sua invocazione agli spacciatori di droga: «Nei Paesi dove c’è la pena di morte per i narcotrafficanti, il problema non esiste», dichiarò, citando Singapore e la Cina (dove vengono compiute esecuzioni di massa con colpo alla nuca negli stadi e i familiari dei condannati devono pagare il prezzo della pallottola). Peraltro in Cina e a Singapore gli spacciatori continuano ad esserci. La svolta più concreta arrivò però nel 2020 durante il suo primo mandato: il Dipartimento di Giustizia, su impulso della Casa Bianca, riprese le esecuzioni federali sospese da 17 anni. Nel solo semestre finale del suo primo mandato furono giustiziate tredici persone, un record in epoca moderna. La linea non è cambiata dopo il suo ritorno al potere. Nel gennaio 2025, al primo giorno del nuovo mandato, firmò un ordine esecutivo per «restaurare» la pena capitale federale, imponendo al Dipartimento di Giustizia di chiederla nei casi più gravi, compresi gli omicidi commessi da immigrati irregolari. Attualmente negli Stati Uniti il boia è in vigore in 27 e stati su cinquanta, da Texas a Florida, da California a Pennsylvania. L’iniezione letale è il metodo principale, ma persistono alternative come la sedia elettrica in South Carolina, la fucilazione in Oklahoma e Utah, l’ipossia da azoto in Alabama e Louisiana e perfino l’impiccagione, come nel New Hampshire. Le esecuzioni sono in aumento: diciassette nel 2020, trenta nel 2025.

Europa, la strada della civiltà

Eppure il numero degli omicidi non diminuisce in rapporto alle condanne a morte. Le due variabili, osservano i ricercatori del Death penalty information center, sono totalmente indipendenti. Mentre l’America si contorce in quest’ansia giustizialista di sangue, invece di domandarsi se la vendita incontrollata di armi non è alla base di questa spirale di violenza che sta avvelenando il Paese, l’Europa ha imboccato da secoli un’altra strada: quella della civiltà. Già nel 1764 Cesare Beccaria scriveva «Dei delitti e delle pene», in cui condannava la pena capitale come inutile e disumana. Oggi in Europa il boia è rimasto disoccupato. L’ultimo Stato del Consiglio d’Europa a bandirlo è stata la Russia nel 2009, con una moratoria estesa dalla Corte Costituzionale. La Bielorussia resta l’unico Paese europeo a praticare ancora l’esecuzione capitale, almeno sulla carta. Dunque quando mettiamo sulla bilancia i vantaggi e gli svantaggi dell’America, questo continente complesso e contraddittorio celebrato da Tocqueville, ricordiamoci che la barbarie da quelle parti non è stata ancora sconfitta e che addirittura subisce un processo di regressione, come nel resto in tanti Paesi del mondo (in Arabia è prevista addirittura, oltre alla decapitazione, la crocifissione!).

Trump la brandisce come una bandiera politica, spesso con l’appoggio di molti pastori evangelici, una prova di forza davanti al suo elettorato. Ma l’America che invoca la morte come giustizia appare sempre più lontana dall’Europa che la bandì con la ragione illuminista. È la distanza tra chi crede che la violenza si estingua con altra violenza e chi, da oltre due secoli, ha compreso che il diritto non deve trasformarsi in vendetta. Quanto ai cristiani, negli Usa esiste anche una tradizione diversa, come quella legata all’americana Dorothy Day. La fondatrice del Catholic worker movement scriveva già negli anni Trenta che la pena di morte era la «logica conseguenza di una società che rifiuta il Vangelo della misericordia».

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