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MONDO. Donald Trump e Giorgia Meloni hanno festeggiato la rispettiva permanenza al potere: sei mesi per il presidente Usa, mille giorni per quella italiana, anche se è Trump che sembra lì da ben più di mille giorni, tante ne ha fatte e disfatte.
Per dare un giudizio, il confronto da fare è quello sulle promesse, anche se i programmi non li legge nessuno. Per entrambi, ad esempio, ha funzionato la debolezza delle alternative. «The Donald» aiutato dall’ondivago Partito Democratico Usa, prima ostinato su Biden e poi rassegnato sulla Harris. Per Meloni ha giovato il miraggio del mitico campo largo altrui, di cui, sotto il ricatto di Giuseppe Conte, si continua a favoleggiare anche adesso e per chissà quanto tempo. Pur con un milione e mezzo di voti in più, la sinistra ha perso perché non ha organizzato i suoi tronconi e ha lasciato campo libero alla spregiudicata compattezza della destra, indifferente anche alle totali differenze interne. È il frutto avvelenato di una legge elettorale che incoraggia cinismo e disinvoltura.
Trump e Meloni, da vincitori, si sono poi comportati in modo opposto. La premier italiana ha fatto le sue cose migliori in totale discontinuità con la narrazione elettorale, concedendo poco alle pulsioni del suo elettorato (un decreto rave, l’aumento delle pene e nuovi reati, un decreto sicurezza illiberale pur con qualche aspetto sensato). Costosa propaganda in Albania ma decreto flussi per mezzo milione di ex clandestini e insabbiamento delle riforme- vetrina su premierato e federalismo. Restare amica di Orban e Le Pen, ma trescare con von der Leyen. Trump non solo ha invece puntigliosamente confermate le sparate elettorali, ma le ha accentuate con punte estreme da apprendista autocrate. Meloni ha così rosicchiato vantaggi, mettendo in crisi la Lega, navigando su sondaggi lusinghieri. Trump ha magari scontentato per difetto gli esagitati «Maga» (doveva non occuparsi del mondo…) ma si è tenuto i ceti più popolari ed emarginati dalla cultura woke. Nella legge di bilancio ha tolto ai poveri per dare ai ricchi con redditi sopra i 200 mila dollari, ma per ora non si avvertono crisi di rigetto. Vale ancora un sentimento di rabbia e di reazione dell’America tagliata fuori dalle élite di New York e Los Angeles. Impressiona, ad esempio, il 40% degli elettori trumpiani appartenenti a confessioni religiose diverse. La cultura prevalente li ha irrisi ed emarginati, come dei retrogradi, e poco importa che abbiano scelto di essere rappresentati da un miliardario che usa la Casa Bianca come una banca d’affari.
Giorgia Meloni, pur con una classe politica scadente, ha fatto le cose buone del suo Governo aiutata da un fiuto politico alimentato fin da adolescente. Attesa al varco con supponenza dal mondo intero per i suoi trascorsi missini, è riuscita ad essere atlantista, europeista, attenta - grazie a Giorgetti - ai conti, svelta nel profittare della sua stabilità per portar a casa numeri buoni sull’occupazione e sullo spread (ma la Grecia sta 18 punti avanti), celando l’aumento delle tasse e la crisi industriale. È abilità politica che Trump si sogna, raggirato dai Putin e dai Netanyahu. Il mondo lo avrebbe già mandato al diavolo e lo sta a sentire solo perché rappresenta un grandissimo Paese. Troppi - Francia esclusa - fanno a gara per blandire il suo ego. Ma i fatti aiutano di più Meloni e sembra prevedibile che aiutino sempre meno Trump. La sua forza può essere travolgente ma i mercati Usa lo hanno preso a sberle già in aprile. Il dollaro non può andare in caduta, perché è un simbolo e Trump sa bene che ha vinto anche grazie al prezzo troppo alto delle uova. L’inflazione è in agguato. Einaudi definiva i dazi «il modo più cospicuo di arricchirsi cacciando le mani in tasca altrui, cioè nella tasca dei connazionali». Trump non sa chi è Einaudi, ma tra poco più di un anno ha elezioni difficili e potrebbero esserci sorprese.
Quanto a Meloni se vuole mantenere i consensi le conviene non apparire troppo amica del tycoon e degli Orban, delle Le Pen e di amici vari impresentabili. Per ora si è barcamenata, ma una leader conservatrice vera è da costruire, e occorre ancora qualche sacrificio.
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