Percorso di santità nel creare lavoro

La classe industriale va in Paradiso. Nel densissimo discorso pronunciato
da Francesco agli imprenditori di Confindustria giunti in udienza in Vaticano, nell’aula Paolo VI, non c’è solo la soluzione per uscire nel modo giusto dalla tempesta perfetta in cui ci troviamo dal punto di vista economico, ma ci trovi anche le indicazioni per ogni uomo di impresa per percorrere la giusta via della santità.

Ed è come se il Papa avesse indicato una stella polare per superare la notte di un Paese «smarrito, diviso, ingiusto con troppi dei suoi figli e con lo sguardo schiacciato sui bisogni del presente», come lo ha dipinto il presidente degli industriali Carlo Bonomi, a nome di 150mila aziende cui fanno capo 5 milioni e mezzo di persone. L’impresa produce lavoro. Ma il «lavoro buono», secondo il pontefice, deve essere «libero, creativo, partecipativo e solidale». Quel lavoro «nel quale l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita». Se così è, allora l’imprenditore si avvia sulla strada della santità.

Ma qual è il modello di sviluppo indicato da papa Bergoglio? Fare impresa non è molto diverso dal fare comunità. Per questo le differenze attualmente abissali tra operai e manager vanno colmate. «Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga, si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società». Nel richiamare il principio di equità nell’udienza a Confindustria papa Francesco cita anche l’esempio di Adriano Olivetti. «Un vostro grande collega del secolo scorso», così lo definisce, che «aveva stabilito un limite alla distanza tra gli stipendi più alti e quelli più bassi, perché sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale il senso di appartenenza a un destino comune, non si crea empatia e solidarietà tra tutti; e così, di fronte a una crisi, la comunità di lavoro non risponde come potrebbe rispondere, con gravi conseguenze per tutti».

Perché «se è vero che ogni lavoratore dipende dai suoi dirigenti, è anche vero che l’imprenditore dipende dai suoi lavoratori, dalla loro creatività, dal loro cuore e dalla loro anima: dipende dal loro “capitale” spirituale». Dunque i salari non devono essere troppo diversi. «Nessun dirigente deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minimo», ammoniva l’imprenditore di Ivrea. Una misura valida anche per la dottrina sociale della Chiesa. Secondo un’indagine recente i dirigenti arrivano a percepire 38 volte lo stipendio dei loro dipendenti, ma si arriva a casi in cui la leva di un top manager – soprattutto negli Stati Uniti - è oltre 400 quasi 500 volte lo stipendio di un operaio. Francesco sa bene che centinaia di migliaia di imprenditori sono preoccupati e soffrono per la crisi che stanno attraversando. Ma qui il pontefice fa una distinzione: «nel mercato ci sono imprenditori “mercenari” e imprenditori simili al buon pastore, che soffrono le stesse sofferenze dei loro lavoratori, che non fuggono davanti ai molti lupi che girano attorno». La gente sa riconoscere i buoni imprenditori. Lo si è visto alla morte di Alberto Balocco, ai suoi funerali, quando tutta la comunità aziendale e civile era addolorata e ha manifestato stima e riconoscenza.

Bergoglio naturalmente parla anche dell’uso del denaro secondo il Vangelo. Un tema su cui ci si accapiglia da sempre, anche per via dell’oscura parabola del ricco e della cruna dell’ago. In realtà «la Chiesa fin dagli inizi ha accolto nel suo seno anche mercanti, precursori dei moderni imprenditori» e «nel Vangelo non ci sono soltanto i trenta denari di Giuda» ma anche i «due denari» del Samaritano. In effetti, ha aggiunto, «lo stesso denaro può essere usato, ieri come oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni quando i denari di Giuda e quelli del buon samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze. L’economia cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda».

Si può essere imprenditore e andare in paradiso, eccome. Anche perché l’imprenditore produce lavoro, e il lavoro è fonte di gioia, di reddito, di creatività, è una componente essenziale della dignità umana. Gli imprenditori possono diventare santi dunque, ma a delle condizioni, quelle ricordate, come la condivisione e la creazione del lavoro, la loro giusta tutela. È quello che fanno quotidianamente in Italia centinaia di migliaia di imprenditori. A nessuno di loro il Papa chiede di farsi poveri come San Francesco, ma di condividere la loro ricchezza e soprattutto di investirla per creare occupazione. E anche creare posti di lavoro è un modo per condividere la loro ricchezza.

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