Piano Mattei per uscire dalla crisi energetica

Economia. «La Libia è una priorità per l’Italia, per la stabilità del Mediterraneo, per la sicurezza italiana e anche per alcune grandi sfide che l’Europa affronta in questo tempo, come la crisi energetica».

Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha sintetizzato il senso della sua missione sabato scorso a Tripoli, da inquadrare – come la visita in Algeria di una settimana fa - nel cosiddetto «Piano Mattei» evocato dalla premier fin dal discorso programmatico alle Camere. L’obiettivo dell’esecutivo è instaurare una collaborazione virtuosa con l’Africa, ispirata alle intuizioni e agli insegnamenti di Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni scomparso nel 1962, per il quale la politica estera della penisola passava in maniera preponderante per la sua politica energetica. Per valutare quante sono le possibilità concrete di realizzare un simile Piano, vi sono almeno quattro diversi livelli da considerare, tutti di pari importanza.

Cominciamo dal fronte della diversificazione degli approvvigionamenti energetici nazionali, sul quale l’Italia si sta muovendo con relativa rapidità. Venute meno le forniture di metano russo, infatti, Roma ha siglato intese per ricevere gas da altri partner, facendo tesoro dei legami già esistenti con altri Paesi del Mediterraneo, dall’Algeria – che è diventato ormai il primo fornitore di metano del nostro Paese – all’Egitto, passando per la Libia. La firma dell’accordo tra l’italiana Eni e l’azienda statale libica Noc va in questa direzione: un investimento da 8 miliardi di dollari, il più grande degli ultimi 25 anni - hanno precisato i libici – destinato a sviluppare due giacimenti di gas al largo della costa di Tripoli, per avviare la produzione già nel 2026 e di sostenere così la nostra sicurezza energetica.

Trovare gli interlocutori giusti e siglare accordi energetici convenienti è già un risultato, nient’affatto scontato, eppure il reale avanzamento del Piano Mattei passerà per la messa in sicurezza e la successiva realizzazione delle intese, specie in un’area politicamente instabile. Anche per questo sono decisivi la stabilizzazione e lo sviluppo più complessivo dei nostri partner della sponda meridionale del Mediterraneo. Non a caso ieri Meloni, commentando l’intesa Eni-Noc, ha precisato che servirà «soprattutto per garantire energia ai cittadini libici e maggiori flussi verso l’Europa», poi ha sottolineato di nuovo che la cooperazione italiana non intende essere «predatoria».

La riuscita del Piano Mattei, inoltre, andrà valutata per le sue ricadute su tutta l’Europa. Il Governo italiano punta infatti a un ambizioso ruolo di «hub energetico europeo» per la Penisola. Una volta chiusi i gasdotti che vengono da Est, in effetti, all’Europa non resta che scegliere tra le molecole di gas in arrivo da Nord (Norvegia in primis), da Ovest (con il gas naturale liquefatto americano) o da Sud (l’ampio fronte del Mediterraneo). Rendere concreta quest’ultima opzione accrescerebbe il peso specifico tricolore a Bruxelles, anche su tavoli diversi da quello energetico.

Ottenere risultati positivi sui tre fronti citati finora è necessario ma non è sufficiente. Come evidenziato nei giorni scorsi dall’ad di Eni, Claudio Descalzi, rimangono da sciogliere alcuni nodi tutti «domestici». Il più intricato è quello delle infrastrutture energetiche, tra nuovi rigassificatori da far entrare in funzione e gasdotti da potenziare (come la «dorsale adriatica» da Sulmona a Minerbio) per gestire le maggiori quantità di gas future in arrivo da Sud. In definitiva il successo del Piano Mattei porterà i suoi frutti anche in Europa e in Africa, ma dipenderà prima di tutto da noi, dalla nostra capacità di sfatare certe «idee fisse» che abbiamo sulle nostre possibilità di sviluppo, per parafrasare un discorso pronunciato proprio da Mattei a Tunisi nel 1960: «La geografia della fame è una leggenda: è legata solo alla passività, all’inerzia creata dal colonialismo nelle popolazioni autoctone. Faceva comodo al colonialismo incoraggiare la fatalità, la rassegnazione. Io leggo sempre i vostri discorsi e quello che più mi ha colpito è la lotta contro la fatalità e la rassegnazione. Ho lottato anch’io contro l’idea fissa che esisteva nel mio Paese: che l’Italia fosse condannata ad essere povera per mancanza di materie prime e di fonti energetiche».

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