Politica troppo divisa
Unità morale lontana

Siamo diventati prigionieri della metafora della guerra. È guerra l’epidemia. È postbellica la «fase due». Ricostruzione dalla guerra è detto il rilancio economico post-coronavirus. È chiamata solidarietà per il dopo-guerra «l’unità morale» ora invocata per superare il collasso economico procuratoci dalla crisi sanitaria. Le analogie col passato possono risultare assai utili per orientarsi nel presente. Non bisogna, però, trascurare il monito che nulla si ripete nella storia. Per questo motivo i paragoni possono risultare fuorvianti.

È il caso, a nostro parere, della concordia sollecitata oggi da più parti con riferimento alla buona prova da essa offerta all’uscita dalla seconda guerra mondiale. Nel 1945 la solidarietà nazionale in effetti ci fu, ma non per sostenere la ricostruzione. Lo spirito unitario, di più, una stretta collaborazione che si erano saldati nel corso della lotta di Liberazione resistettero per due anni oltre la fine della guerra. Vennero meno nella primavera del 1947, allo scoppio della guerra fredda. Una solidarietà di fondo, comunque, resse ancora fino alla fine di quell’anno, permettendo ai tre partiti maggiori – Dc, Pci, Psi – di compiere la missione storica che si erano prefissi: chiudere la partita della guerra con la firma del trattato di pace e dotare l’Italia di una Costituzione democratica.

Di unità morale, invece, non si trova traccia negli anni della ricostruzione. Nel motivare la rottura con la sinistra socialcomunista, De Gasperi si appellò alla necessità di chiudere col «tripartito» (la coalizione appunto di Dc, Psi e Pci). Quello di cui l’Italia aveva disperato bisogno era un accordo - com’egli lo chiamò - col «quarto partito», ossia con quello che oggi chiameremmo «il partito del Pil»: gli imprenditori, forza sociale sempre imprescindibile per attuare il rilancio dell’economia. Così fu. L’Italia entrò nell’area del dollaro e accettò il piano Marshall: due misure viceversa aspramente contrastate dalle sinistre. Furono queste scelte, così divisive, ad avviare quella prodigiosa rinascita destinata a fare dell’Italia ciò che non era mai stata: una moderna economia industriale.

Se di unità morale nell’immediato dopoguerra si può parlare quindi, è solo per le sorti della democrazia. Ce ne sarebbe bisogno oggi? Certo, tantissimo. Se la casa brucia, tutti dobbiamo aiutare a spegnere l’incendio. Ci sono oggi le condizioni per attuarla? Non proprio. Altri Paesi, la Germania ad esempio, possono contare addirittura su governi di unità nazionale. Da noi non ci sono al momento le condizioni-base per avviare una forma almeno di collaborazione tra maggioranza e minoranza. Sui temi centrali dell’economia, governo e opposizione parlano, anche al loro interno, due lingue diverse. I Cinquestelle si sono barricati dietro il loro fermo no ad accettare i 37 miliardi del Meccanismo europeo di stabilità, caldeggiato invece dal Pd. Stessa contrapposizione sul tema cruciale dei nostri rapporti con i partner europei si riscontra tra FI, favorevole al Mes, e Lega-FdI , entrambe scettiche sul ruolo dell’Ue.

Che dire poi dell’aspra rivalità politica che tiene l’un contro l’altro armati il premier e il capo dell’opposizione, Conte e Salvini. Ciascuno dei due fonda la propria fortuna politica sull’inimicizia con l’altro. Anche un semplice dialogo tra maggioranza e minoranza svelenirebbe il rapporto di ostilità tra i due; il che farebbe intravvedere una prossima uscita di scena dell’«avvocato del popolo» e il ridimensionamento (forse il cambio) di leadership del centro-destra. Perché l’invocazione dell’unità morale dell’immediato dopoguerra non si risolva in un alibi all’impotenza politica dei suoi fautori i partiti hanno ancora molta strada da percorrere.

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