Programmi per il paese, qualcosa si vede

Anche questa insolita campagna elettorale di mezza estate non risparmia i colpi bassi, gli slogan, gli interventi a gamba tesa e il solito teatrino di dichiarazioni demagogiche, per non parlare delle incursioni dei «podestà stranieri», come quella di Putin e Medvedev. Però in mezzo al clamore mediatico (amplificato e condizionato dai social, che non ammettono quasi mai toni pacati e soluzioni articolate) si comincia a parlare di programmi.

Forse i leader politici, senza rinunciare a vacue e antistoriche preclusioni ideologiche (il ritorno del fascismo a sinistra, il pericolo comunista a destra) hanno capito che ciò che interessa veramente ai cittadini e soprattutto l’unico mezzo per convincere quel 40% di italiani ormai smarriti e nauseati a tornare alle urne, sono le cose da fare per risollevare questo benedetto Paese.

Dunque possiamo cominciare a riflettere e a parlare di progetti, di investimenti, a discernere e a confrontare le proposte con i nostri desideri e i nostri valori, anche se si tratta pur sempre di dichiarazioni di intenti o di promesse. Ma la politica è questa. Il materiale in campo è di tutto rispetto. Il centrodestra, ad esempio, oscilla tra vecchi cavalli di battaglia come la flat tax e la revisione del Pnrr. Il centrosinistra di Enrico Letta è in continuità con l’Agenda Draghi mentre il Movimento 5 Stelle insiste su salario minimo e reddito di cittadinanza.

Tutti gli schieramenti ribadiscono la loro adesione all’Unione europea e alla Nato, una cornice che è già molto importante considerato il vento populista mai sopito, a parte qualche mal di pancia nei 5 Stelle. Il centrodestra punta sui capitoli sicurezza, alleggerimento fiscale e lotta all’immigrazione clandestina e fa una proposta shock: l’abolizione del reddito di cittadinanza. Un muro contro muro rispetto al movimento di Conte. Sul piano istituzionale propone (anche questo un vecchio cavallo di battaglia) una riforma costituzionale con l’elezione diretta del capo dello Stato, mentre Berlusconi vuole cancellare l’appello per chi è già stato giudicato innocente.

Nel centrosinistra i pilastri sono la transizione ecologica, il lavoro giovanile (da incrementare con una patrimoniale) la riduzione delle bollette per famiglie e imprese e l’estensione dello smart working. Sui diritti, si punta sullo ius scholae, che prevede la cittadinanza con un numero minimo di anni di scuola in Italia. Per i giovani, assegno annuo per chi è a basso Isee ed è in affitto.

Quanto al programma del centro, ovvero della coppia Renzi-Calenda, si insiste sull’Agenda Draghi (con la riforma del fisco, della concorrenza e della giustizia) fatta di investimenti e misure di sostegno alla crescita. Anche in questo caso il reddito di cittadinanza viene visto come il fumo negli occhi, da cancellare come la gramigna. I 5 Stelle hanno messo in campo un programma in 22 punti che prevede tra l’altro il salario minimo a 9 euro all’ora, la riduzione dell’orario del lavoro, il riscatto gratuito della laurea, la rateazione delle cartelle esattoriali e la cancellazione dell’Irap, la statalizzazione della sanità (riducendo così le Regioni a una sorta di guscio vuoto). C’è anche la cittadinanza italiana agli studenti di origine straniera nel programma, segno che la linea è quella del Conte 2, alleato con la sinistra, più che del primo Conte contiguo alla Lega. Tutto chiaro? Per niente. Si tratta sempre di promesse che devono intercettare il più ampio consenso possibile. A leggere i programmi saltano fuori diversi dubbi o interrogativi in tutti gli schieramenti. La defiscalizzazione farebbe un gran bene a famiglie e imprese, ma dove si trovano i denari per sostenerla, con un debito pubblico che oltretutto è arrivato a 2.776 miliardi di euro toccando tutti i record? Anche sulla patrimoniale il Pd di Letta è molto sibillino. Di per sé è una misura che avrebbe un senso, perché i ricchi devono contribuire in un momento di difficoltà. Già: ma chi sono i ricchi in questo Paese? Il ministro Fornero aveva spiegato che è difficilissimo accertare i veri patrimoni degli italiani. Il premier del 2012 Monti definiva l’Imu una mini patrimoniale, ma non colpiva di certo solo i ricchi, anzi. Tommaso Padova Schioppa li aveva individuata in coloro che percepiscono più di 75 mila euro lordi, benestanti, per carità, ma non certo ricchi. Insomma, la patrimoniale, più che una tassa, è un’opinione che il Pd si guarda bene dal definire. Ma si potrebbe andare avanti per molto. L’Agenda Draghi, ad esempio, sotto il nome si può riempire come si vuole. È nei dettagli che bisogna leggere i programmi. Altrimenti sono solo promesse, spesso non tutte mantenute dal 26 settembre in poi.

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