Punti di forza e debolezze di una Nadef senza «cucù»

LEGGE DI BILANCIO. Il nostro mondo mediatico è «un nuovo mondo – il mondo del “cucù!” – dove ora questo evento, ora quell’altro evento, appaiono per un momento, per poi scomparire».

Così scriveva l’americano Neil Postman, uno dei più importanti sociologi e teorici dei media dello scorso secolo, commentando la trasformazione della «nostra civiltà» in «una vasta arena da grande spettacolo». Per una volta, però, ieri sera sarà rimasto deluso chi si attendeva un «cucù» perfino dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), chi già si immaginava un «colpo a effetto» del Governo per ingraziarsi gli elettori in vista delle prossime elezioni europee. Altro che «intrattenimento», le parole d’ordine dell’esecutivo – arrivate ieri sia dalla premier Giorgia Meloni che dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – sono state piuttosto «serietà» e «prudenza». D’altronde non conviene «divertirsi da morire» – sempre per citare il geniale Postman – quando si maneggia la cornice contabile della Legge di Bilancio.

Ben venga dunque la scelta, ribadita da Giorgetti, di «confermare» alcuni interventi già intrapresi: parliamo del taglio del cuneo fiscale per i redditi medio-bassi, della delega fiscale che prenderà il via partendo dallo scaglione più basso dell’Irpef, delle misure premiali per la natalità e degli stanziamenti per il rinnovo del contratto del pubblico impiego. «Sempre le solite cose», potrebbe aver pensato qualcuno, ormai assuefatto all’idea che non c’è legge di Bilancio che si rispetti senza l’introduzione di una qualche (costosa) diavoleria mai sentita prima: che sia il «bonus 80 euro» o il «Superbonus», passando per la «flat tax». E invece è da salutare positivamente, in un Paese finanziariamente indebitato e politicamente instabile come il nostro, che l’esecutivo abbia annunciato di voler concentrare le limitate risorse a disposizione su poche misure, peraltro già avviate lo scorso anno e con la prospettiva di sostenerle per una legislatura intera.

D’altronde, secondo il Consiglio dei ministri, «la Nadef tiene in considerazione la complessa situazione economica internazionale, l’impatto della politica monetaria restrittiva, con l’aumento dei tassi d’interesse, e le conseguenze della guerra in Ucraina». Per non dire dei macigni che ci siamo legati ai piedi da soli, misure come il Superbonus edilizio al 110% che da qualche mese si sta rivelando in tutta la sua dispendiosità.

Tutto bene, dunque? Non esattamente. Se davvero «serietà» e «prudenza» dovranno guidare d’ora in poi la politica economica dell’esecutivo, sarebbe saggio dismettere certi eccessi trionfalistici sulle condizioni economiche del Paese rispetto ai partner europei: la stessa Nadef, infatti, ridimensiona il tasso di crescita del Pil italiano che quest’anno si fermerà a +0,8% (dal +1% previsto ad aprile), mentre nel 2024 sarà dell’1,2% (dal +1,5% del Def). Allo stesso tempo occorrerà prendere atto che, nonostante la rassicurazione di Giorgetti del debito pubblico «sostanzialmente stabilizzato» nei prossimi anni, il deficit programmatico nel 2023 viene lasciato salire al 5,3% (e non più al 4,5%), seppure per effetto del Superbonus; e che per il 2024 l’asticella del deficit viene alzata sia sul quadro tendenziale (cioè a legislazione vigente) che su quello programmatico, rispettivamente fissati al 3,6% e al 4,3% (da 3,5 e 3,7). Sono scostamenti non drammatici, necessari per assicurare alla prossima manovra una «dote» di circa 14 miliardi di euro, ma pur sempre sinonimo di maggior deficit pubblico, cioè di maggiori tasse future per tutti i contribuenti. Almeno su quest’ultimo fronte, dall’alto di un debito pubblico al 140,1% del Pil nel 2024, un inatteso e sorprendente «cucù» sarebbe stato auspicabile.

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