Se il partito di lotta
e di governo non funziona

Tutto si deciderà con le elezioni amministrative. Il voto di domenica e lunedì nelle principali città, a cominciare da Roma e Milano, deciderà molte cose della politica italiana e influirà pesantemente sulle sbilenche coalizioni che si contrappongono. Ma avrà effetti soprattutto sul centrodestra e sulla Lega. Il partito di Matteo Salvini è arrivato ad un punto in cui bisogna fare una scelta. Il «caso Morisi», il guaio giudiziario in cui è caduto l’inventore della macchina propagandistica di Salvini, è il detonatore di una crisi che non nasce certo oggi ma risale alla pazza estate del Papeete. È stato quello in momento in cui si è interrotto il cammino trionfale che, elezione dopo elezione, stava portando il «Capitano» (espressione inventata da Morisi) direttamente a palazzo Chigi. Poi le cose andarono come andarono e la Lega ha cominciato a perdere voti: oggi, che è sotto di circa quattordici punti rispetto alle elezioni europee del 2019, vede il proprio primato nella coalizione insidiato da vicinissimo, se non surclassato, da Giorgia Meloni e dai suoi Fratelli d’Italia.

Ma a veder bene, a far deflagrare l’equilibrio leghista che si è incardinato su un leader che - ricordiamolo - ha raccolto un partito morente e lo ha portato nell’empireo del 34 per cento dal quale però sta discendendo velocemente, è stata la scelta di entrare a far parte del governo Draghi. Da quel momento Salvini ha provato a fare «il partito di lotta e di governo» per godere dei vantaggi del potere senza regalare alla Meloni quelli dell’opposizione. Ma è stata un’operazione ad altissimo rischio che, contraddizione dopo contraddizione, fatalmente ha fatto emergere un possibile leader alternativo al segretario: Giancarlo Giorgetti. Al Salvini sovranista amico della Le Pen e dei tedeschi dell’fd si è via via contrapposto un Giorgetti europeista vicino al Ppe; al Salvini ammiccante ai no vax e no mask, un Giorgetti leale rispetto alla linea rigorista del governo di cui fa parte come influente ministro dello Sviluppo economico. E se il segretario ha potuto contare sulla sua base tradizionale e su esponenti come Bagnai e Borghi, intorno a Giorgetti si sono coagulati i rappresentanti dell’elettorato del Nord: i governatori preoccupati di non deludere le attese di imprenditori, artigiani e commercianti favorevoli al green pass perché garanzia delle riaperture.

L’orientamento di Giorgetti, Zaia, Fontana, Fedriga di fatto si è imposto combaciando con le decisioni di Draghi, e Salvini è stato costretto a fare passi indietro che la «Bestia» di Morisi. Finché ha potuto, ha cercato di mascherare. Non solo: ai candidati sindaci scelti da Salvini e Meloni Giorgetti non ha fatto mancare la propria critica: a Roma meglio Calenda, ha detto.

Ora si aspetta il voto delle amministrative: con questo carico di tensioni, di polemiche, di casi mediatico-giudiziari, un esito deludente a Milano, a Roma e nelle altre grandi città potrebbe aprire nella Lega una questione di leadership che avvantaggerebbe Giorgia Meloni e non dispiacerebbe a Forza Italia. Naturalmente sia Salvini sia Giorgetti negano di essere contrapposti e la Lega, che in questo è ancora il vecchio partito dirigista dell’era bossiana, fa di tutto per mostrarsi compatta.

Però il caso Morisi che morde e il voto amministrativo, senza contare altre sorprese sempre possibili, saranno più forti di qualunque messaggio propagandistico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA