Se la multa punisce
la democrazia

Esattamente due secoli fa, nei Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel affermava che negli Stati di diritto la riflessione sui fondamenti della giustizia della e nella amministrazione è lo specchio del nesso tra detentori della sovranità e soggetti che ne assicurano la traduzione in attività. La distinzione tra legislazione, amministrazione e giurisdizione è il frutto di un processo storico e delle trasformazioni politico/sociali avvenute nel XX secolo. Processo non lineare nel quale le spinte innovative hanno dovuto spesso fare i conti con resistenze e pregiudizi. Uno dei versanti più delicati ha riguardato (e riguarda tuttora) i rapporti tra la funzione legislativa e quella giudiziaria.

Il 7 agosto scorso in Val Brembana alcuni sindaci hanno aderito alla manifestazione per protestare contro il depotenziamento dell’ospedale di San Giovanni Bianco. I sindaci avevano aderito alla protesta dopo aver più volte sollecitato - a loro dire senza esito - ospedale e Regione risolvere il problema. Quei primi cittadini sono stati sanzionati per aver interrotto il traffico sulla statale 470 della valle. Nell’occasione l’azione della magistratura è stata fulminea: i sindaci sono stati multati per blocco del traffico e rischiano una sanzione da mille a quattromila euro. La partecipazione alla protesta insieme al comitato – per dare una veste istituzionale alla manifestazione – ha finito per costituire un’aggravante. Appare chiaro che nella vicenda si incrociano e, in qualche misura, si contrappongono due elementi: il principio di legalità e quello di ragionevolezza.

Di primo acchito è fin troppo semplice concludere che la legalità, essendo il fondamento – e insieme anche il presupposto – degli ordinamenti democratici, debba in linea teorica prevalere sugli altri. Un illustre giurista affermava, vent’anni orsono, che «il più importante dei principi costituzionali sull’attività amministrativa è il principio di legalità». Nel contempo, però, occorrerebbe tener conto della peculiarità di ogni singolo evento che possa costituire reato. Nel caso specifico si è trattato di un’azione di appoggio ad una legittima richiesta degli abitanti.

Quanto accaduto in Val Brembana ripropone l’antico dilemma tra legge e giustizia. Dalla notte dei tempi, come dimostrato dalle tragedie greche, non sempre la legalità è sinonimo di giustizia. Al contrario, la legge finisce a volte per trasformarsi in un simulacro. Una entità sorda e cieca, che viene amministrata senza tener conto della sostanza dei problemi e degli eventi. Il fondamentale principio della certezza del diritto (cardine degli ordinamenti moderni) si è tramutato spesso in un groviglio fittissimo di prescrizioni legislative che - essendo, per loro natura, di difficile modifica – producono una tendenziale paralisi operativa delle amministrazioni pubbliche.

Lo iato tra principi degli Stati di diritto (in primis la legalità) e equilibrio dei poteri incrina la richiesta di giustizia da parte della collettività e finisce per inficiare la credibilità di chi le norme deve farle osservare. Scarto che – per altri versi – identifica lo scollamento tra diritto e giustizia, tra ruolo di garanzia che le istituzioni hanno (dovrebbero sempre avere) e concreto dispiegarsi del loro operato. In tale contesto alla magistratura si richiede, in primo luogo, una capacità di giudizio che non faccia prevalere l’aspetto formalistico delle leggi, ma riesca a valutare con flessibilità di giudizio le scelte da compiere. La legittimazione dei governanti e del governare, la legalità come fondamento delle democrazie, la giustizia come presidio dei diritti e dei doveri sono il prodotto dell’equilibrio tra i poteri. Allorché tale equilibrio si incrina - o, peggio, si spezza – vengono a mancare i presupposti della democrazia.

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