Sterlina debole e Pil in calo, dalla Londra post Brexit lezioni utili per l’Italia

Il commento. La crisi di identità della leadership che si sta avvitando in qualcosa di irreversibilmente fatale nel Regno Unito, può magari consolare gli italiani, normalmente additati per instabilità e litigiosità, ma sarebbe una magra consolazione. Meglio riflettere sui messaggi che arrivano da Londra, per cercare di trarre qualche insegnamento utile per noi, anche perché ci sono affinità politiche (conservatori al comando) e persino personali (premier esordienti) solo apparenti.

La differenza principale è che noi siamo nell’euro e nell’Ue, e per fortuna, va detto agli euroscettici, agli Italexit del 2% ma sempre in tv, e ai tanti schizzinosi verso i burocrati di Bruxelles, dimenticando che sono i politici ad aver messo sul piatto 200 miliardi per l’Italia, zero per i britannici, usciti prima (ops…), perché nel 2016 avevano creduto ai populisti di Farage adorati da Grillo e Salvini, che avevano ammonito che così i contribuenti inglesi avrebbero risparmiato 350 milioni di sterline (ogni settimana!) solo di sanità... Mentre hanno dovuto pagare 40 miliardi di biglietto di uscita dall’Ue. La Brexit è davvero all’origine dei guai che da allora ha conosciuto l’UK.

Altro che superpotenza economica. La sterlina è poco scambiata nel mondo, e ha perso il 17% sull’euro, che pure è andato sotto la parità con il dollaro

Altro che superpotenza economica. La sterlina è poco scambiata nel mondo, e ha perso il 17% sull’euro, che pure è andato sotto la parità con il dollaro. E pensare che questo non ha aiutato almeno l’export, crollato del 24% anziché avvantaggiarsi (Italia settima nel mondo, Gran Bretagna quattordicesima).

Ma la cosa più preoccupante al di là della Manica è il deficit pubblico, che è peggiore di quello italiano e il Pil nel 2022 è a -7%. Non c’è naturalmente da compiacersi dei guai altrui, ma ci sono di sicuro da evitare le imitazioni peggiori, ad esempio quando si sente proporre nel programma del nuovo Governo la flat tax, espressione sì inglese ma che nel mondo c’è solo in Russia e Ucraina e che i tre partiti del centrodestra hanno portato in campagna elettorale in tre versioni diverse. Meglio accantonarla, almeno fino a che si uscirà dalle scadenze più immediate: legge di bilancio da tenere sotto i 50 miliardi, diminuzione del salvagente Bce sul debito, nuova legge di stabilità europea.

La premier britannica Liz Truss è andata giù per le spicce, raccontando la solita fola del taglio delle tasse che avrebbe potuto ripagarsi con nuovo sviluppo. Ne ha eliminate per 43 miliardi senza copertura e i mercati l’hanno stangata, e ha dovuto rimangiarsi questa cattiva imitazione della Thatcher, cacciando via il ministro dell’Economia.

Il disastro dei conservatori, con 5 premier diversi dalla Brexit, non produrrà probabilmente il ritorno del più brillante tra loro, Boris Johnson, ma potrebbe rilanciare i laburisti

Attenzione, insomma, non siamo più nel 2018, quando Di Maio e Salvini, silente ed ossequioso Conte, in versione non progressista, confezionavano sommatorie di spesa pubblica a gogò e le chiamavano cambiamento. Ma da Londra, arrivano anche messaggi che dovrebbero interessare l’opposizione, in particolare il Pd. Perché il disastro dei conservatori, con 5 premier diversi dalla Brexit, non produrrà probabilmente il ritorno del più brillante tra loro, Boris Johnson, ma potrebbe rilanciare i laburisti, che hanno finalmente un leader non frustrato. In tutti questi anni si sono fatti del male da soli, interpretando la sconfitta come un segnale per spostarsi a sinistra (qualche affinità con il Pd italiano oggi?), fino alla patetica riedizione della lotta di classe con Corbyn, anziché recuperare il senso del riformismo di matrice socialista e democratica. Sta di fatto che da quando hanno fatto fuori Tony Blair non hanno toccato palla e in parallelo in Francia hanno visto sorgere al loro posto il liberale Macron, non certo il tardo corbinismo di Mélenchon. C’è da imparare anche nella sconcertante vicenda britannica. E quando Re Carlo accoglie a Palazzo la premier per ora in carica, ha in fondo ragione quando le chiede «ancora qui?». Non è una gaffe, è una previsione.

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