Sui migranti il governo in Calabria fa quadrato

Italia. Accolti da applausi e contestazioni, i ministri di Giorgia Meloni a Cutro hanno cercato – e probabilmente trovato – il modo per mettersi alle spalle la polemica su come il sistema Italia ha affrontato la tragedia dei profughi naufragati al largo delle coste calabresi.

Superate le divergenze interne tra alleati, soprattutto tra la Lega e Fratelli d’Italia, l’iniziativa del governo sui migranti si muove su due linee. Una, durissima, riguarda gli scafisti. L’altra, dialogante, riguarda le persone che chiedono di venire legalmente in Italia a lavorare. In sostanza l’Italia dichiara guerra agliscafisti, aumenta le pene fino a 30 anni per chi di loro causa la morte dei profughi in mare e intende perseguirli anche quando i naufragi avvengono in acque internazionali purché in rotta verso il nostro Paese.

Il punto di partenza di questa strategia non cambia e dice: se non partono, non muoiono, dunque bisogna colpire chi li trasporta a caro prezzo sulle carrette del mare e magari li abbandona in vista della costa anche quando si tratta di persone che non sanno nuotare o di bambini piccoli. Giorgia Meloni ha insistito molto su questo atteggiamento e anche sulla novità da introdurre nel codice penale per poter essere più efficaci. Contemporaneamente l’Italia si impegna a migliorare le procedure per l’immigrazione legale che viene di fatto allargata anche per venire incontro alle richieste delle aziende che hanno bisogno della manodopera che non trovano. Il governo però chiude le maglie della cosiddetta «protezione speciale» perché lo ritiene un modo per concedere a tutti il permesso di rimanere qui, e vuole rendere le espulsioni più rapide, meno soggette ai ricorsi, più consistenti.

Quindi: colpire gli scafisti, diminuire le partenze, migliorare l’immigrazione legale, mano libera sulle espulsioni e accordi bilaterali con i Paesi del Nord Africa perché collaborino a far capire che «venire in Italia illegalmente non conviene». Paesi verso i quali la Meloni ritiene che si debbano moltiplicare gli aiuti – per esempio verso la Tunisia, in gravissima crisi economico-finanziaria – favorendone lo sviluppo economico. È questo uno dei punti della lettera che la presidente del Consiglio ha spedito a Bruxelles proprio all’indomani della tragedia di Cutro con cui ha chiesto maggiore interessamento alla pressione migratoria sul fronte Sud dell’Unione che si concentra soprattutto sull’Italia (visto che Grecia, Malta e Spagna hanno adottato politiche molto più dure delle nostre). Ma, a proposito dell’Europa, ieri è spuntato un documento di sette Paesi (Austria, Germania, Francia, Olanda, Belgio, Danimarca e Svizzera in quanto Paese aderente a Schengen) in cui, tra molte belle parole e impegni di buona volontà, nella sostanza si chiede all’Italia di impedire che chi sbarca sulle nostre coste poi vada facilmente verso Nord – che non è un gran bel segnale lanciato al governo di Roma, oltretutto dopo una strage.

Per concludere: il compromesso raggiunto all’interno della maggioranza ha, da una parte, attutito le divergenze tra partiti e leader, e dall’altra ha costruito una strategia in grado di respingere le accuse più gravi che le opposizioni hanno rivolto al governo in questi ultimi dodici giorni. Un modo per uscire dalle difficoltà ma anche per dimostrare che il centrodestra è in grado di governare un fenomeno tanto complesso e, via via, sempre più imponente. Certo, se non dovesse funzionare, la Lega si tiene in serbo la proposta di legge incardinata alla Camera che rimette in piedi i decreti Salvini del 2019, smontati dal Conte2 e da Draghi. È l’avviso che Salvini lancia a Meloni: sulla questione la Lega non molla il suo maggiore asset elettorale.

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