Tav o no Tav
Governo al bivio

È inevitabile che una questione fondamentale dello sviluppo del Nord e del Paese come la Tav Torino-Lione, sia finita in una disputa politica in cui ciascun partito cerca di salvaguardare i propri consensi elettorali. Le elezioni europee di maggio ormai sono dietro l’angolo e tutti cercano di arrivarci nel migliore dei modi possibili, considerando anche che per quella competizione si corra con il sistema proporzionale. Questo discorso vale per i partiti di maggioranza che si giocano il primo posto ma anche quelli di opposizione che cercano di lucrare il più possibile sulle contraddizioni che stanno esplodendo nel governo. Da questa banale constatazione deriva che la decisione che verrà presa dipenderà, più che da una obiettiva valutazione dei fatti, da quale interesse elettorale sarà risultato prevalente.

Il rapporto della commissione insediata dal ministro grillino Toninelli poco rileva: si sapeva sin dall’inizio – vista la scelta dei nomi dei commissari – che il parere finale sarebbe stato negativo e infatti, anche se è ancora ufficioso, tutti sanno che è andata come era stato programmato che andasse. E il motivo è noto: Toninelli, come Di Maio, come Fico, come Grillo sono da sempre contro la Tav più ancora delle altre grandi opere: è un simbolo ormai. Se su altre questioni hanno dovuto rassegnarsi (vedi il Tap pugliese e, in parte, le trivellazioni nello Jonio), sulla Tav non possono: «La prima assemblea nazionale dei MeetUp si tenne a Torino proprio per collegarsi al movimento No-Tav», ricorda il presidente della Camera Fico in una rivendicazione orgogliosa delle origini pentastellate, come ha fatto qualche giorno fa Beppe Grillo sul «Blog delle Stelle».

Questa posizione tuttavia non è unanime nel Movimento, soprattutto in Piemonte e a Torino dove ci si divide tra falchi e colombe (tra le quali c’è la sindaca Appendino, da settimane semi-silenziosa). Il problema per i grillini al potere sul Po è stato quello di vedersi per due volte piazza San Carlo gremita da manifestanti Sì-Tav: decine di migliaia di persone decise a difendere la prospettiva di sviluppo del Nord Ovest. Tra queste, c’erano non solo gli esponenti dell’opposizione ma anche gli alleati leghisti pressati da un elettorato settentrionale che vuole le grandi opere e le pretende dal partito di centrodestra che ha più votato. Salvini lo ha detto più volte: lui è per continuare il cantiere già aperto. Solo che si prospetta uno scontro pre-elettorale da cui potrebbe uscire con le ossa rotte lo stesso governo. Ecco perché Salvini si dice favorevole al referendum: siccome si sa che i piemontesi e i settentrionali sono in maggioranza per il sì, è l’unico modo per far passare l’opera «costringendo» i grillini. Sul referendum Di Maio è stato ambiguo, non ha preso una posizione univoca: sa che se il M5S perdesse una simile battaglia sarebbe devastante.

Così a tratti si affaccia l’ipotesi di un compromesso: spendere qualche miliardo in meno, non fare qualche stazione, cose così, con poco senso. Ieri sera a Bruxelles Di Maio però faceva la faccia dell’arme: «Se la commissione ci dice che l’opera non sta in piedi, non si fa». Lui stesso sa che così è troppo semplice. Ecco allora che per la prima volta l’opposizione fa una mossa parlamentare che può mettere in difficoltà il governo e soprattutto la Lega: presenta (il Pd) una mozione in cui si chiede al governo di riprendere là dove ci si era fermati, e cioè la costruzione del tunnel. Che farà Salvini? «Lasciamo perdere il referendum, la Lega ci dica se accetta o no il ricatto dei grillini», dicevano con parole simili gli esponenti di Forza Italia. Ecco dunque il punto a cui siamo arrivati: non è ancora chiaro chi rimarrà col cerino in mano.

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