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MONDO. La stretta di mano tra Donald Trump e Xi Jinping in Corea del Sud rimarrà impressa nella nostra mente e negli archivi giornalistici almeno per i prossimi mesi. Ben più difficile, invece, sostenere che passerà alla storia.
L’entusiasmo ostentato alla fine del colloquio dal Presidente degli Stati Uniti c’era da aspettarselo; ha parlato di un «grande successo», di un incontro che – se da valutare con un voto «da uno a dieci» – si merita addirittura un «dodici». Il suo omologo cinese, che come di consueto non ha rilasciato dichiarazioni alla stampa, tramite l’agenzia statale Xinhua ha fatto sapere, più sobriamente, che le squadre negoziali dei due Paesi «hanno scambiato opinioni approfondite su importanti questioni economiche e commerciali e hanno raggiunto un consenso sulla loro risoluzione».
Trump, da parte sua, può rivendicare di aver costretto Xi al tavolo della trattativa dopo che negli scorsi mesi aveva alternato alla volta della Repubblica Popolare toni duri e annunci di dazi insormontabili, come quelli che sarebbero dovuti scattare il 1° novembre in assenza di una qualche mediazione. Xi Jinping, a sei anni dall’ultimo incontro con l’attuale Presidente, potrà vantarsi di aver tenuto testa agli annunci di Trump, di aver reagito più duramente di tutte altre grandi economie, e di aver conquistato così – e non per vie più compromettenti - un posto al tavolo del cosiddetto «G2».
Andando un po’ oltre le immagini e le parole date in pasto all’opinione pubblica, qualche utile chiave di lettura arriva anche dai contenuti dell’intesa trovata. Perlomeno da quelli noti perché pubblici. Washington dimezzerà l’incremento dei dazi sulle merci cinesi che era stato deciso negli scorsi mesi per sanzionare il ruolo cinese nella diffusione del Fentanyl, il letale oppioide sintetico che causa decine di migliaia di morti per overdose nella prima economia del pianeta. Se l’incremento era stato del 20%, dunque, i dazi passeranno dal 57% al 47% visto che Pechino ha assicurato collaborazione su questo fronte. La Cina sospenderà i controlli all’esportazione sulle terre rare, così come alcune tasse portuali che aveva imposto sulle sole navi a stelle e strisce. Pechino si sarebbe anche impegnata a lavorare con Washington per risolvere i nodi legati a TikTok, l’app social che Trump vuole “salvare” nel suo Paese dal blocco deciso dal Congresso. Come si intuisce anche da una sintesi così sommaria, l’intesa ricuce strappi recenti, fa compiere piccoli passi indietro rispetto a scatti in avanti delle ultime settimane, rimane insomma in superficie e non scalfisce i problemi di fondo del rapporto tra Stati Uniti e Cina.
Cosa ne è stato, per esempio, del confronto sulla guerra in Ucraina? Trump alla vigilia del faccia a faccia aveva detto che ne avrebbe parlato a Xi visto che egli ha una «grande influenza» su Putin; si era trattato di un modo per sminuire pubblicamente l’autonomia del leader russo. Eppure il sostanziale silenzio sul punto lascia intendere che Pechino non ha preso una posizione netta, non intende staccare nell’immediato il cordone che la lega – da pozione di forza, ovviamente - a Mosca. È solo una delle tante prove del fatto che Stati Uniti e Cina rimarranno, nel medio e lungo termine, due colossi destinati a sfidarsi. Su temi come l’approvvigionamento energetico necessario ad alimentare manifattura e innovazione. Sulle tecnologie di ultima generazione, non solo quelle militari, ma anche l’intelligenza artificiale e l’informatica quantistica. Sulla conquista dei migliori cervelli del pianeta, di cui nutrire le rispettive università e poi i centri di ricerca. Sulle sfere d’influenza, non solo quelle a noi occidentali più familiari, ma all’interno del mondo asiatico e africano. Su tutto questo la stretta di mano tra Trump e Xi di sembra avere ben poco da dire. Come Europei dovremmo prenderne atto, non perdere tempo in chissà quale sospiro di sollievo, e realizzare che sicuramente una tregua aiuterà – per esempio le nostre imprese, strette come un vaso di coccio tra i vasi di ferro che cercano di colpirsi – ma più in là ci aspettano ancora forti dosi di instabilità e conflittualità. In quest’ottica, muoversi come Europei, senza inseguire un lezioso terzismo tra democrazia e autoritarismo ma allo stesso tempo superando faide piccine e dannose nel continente, è l’unica ricetta per tutelare le nostre economie e il nostro modello sociale, senza rimanere alla mercé di un G2 e di una photo opportunity più o meno riuscita.
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