Traffici illeciti
I buchi di londra

Il governo britannico aveva messo in conto di pagare qualche dazio per la Brexit, ufficialmente in vigore dal gennaio scorso. A cominciare dal Pil, che i tecnici di Londra hanno stimato in caduta del 4% nei prossimi cinque anni. Ma ci sono anche sorprese negative non calcolate, almeno nelle dimensioni: le esportazioni del Regno Unito verso l’Ue sono crollate del 40,7% proprio nel primo mese fuori dall’Europa, il più importante calo del commercio britannico da oltre 20 anni. Le importazioni hanno subito invece una riduzione del 28,8%. Le cifre non arrivano da enti nemici della Brexit ma dall’Ufficio per le statistiche nazionali. Come primo rimedio il premier Boris Johnson ha rinviato i controlli alle dogane per le merci provenienti dalla Ue, dal prossimo aprile ad ottobre.

Ma il 3 marzo il governo di Londra, ormai svincolato dalle leggi di Bruxelles, ha anche istituito otto zone economiche speciali (porti franchi) dove i prodotti possono transitare senza molti controlli, dove si può costruire, produrre e riesportare con un regime fiscale di favore e senza oneri doganali. Nasceranno così aree offshore in competizione diretta con Dubai e Singapore che potrebbero diventare dei buchi neri del capitalismo. Tra i luoghi prescelti ci sono infatti località dove la criminalità organizzata inglese è fortemente radicata, come a Liverpool, già epicentro del traffico di droga.

I sindacati sono preoccupati per la sicurezza e i diritti dei lavoratori, mentre la Camera di commercio è sorpresa per l’alto numero di aree offshore. La «Financial action task force» ha definito le zone economiche speciali come «un pericolo per il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo». Vengono spesso utilizzate per aggirare le sanzioni internazionali ed evadere le tasse. Il Parlamento europeo ne ha proposto la chiusura. Il Congresso americano nel 2018 si è detto preoccupato per i traffici illeciti che ne derivano. Un altro ente specializzato sul tema, la World custom organization, ha scoperto che i crimini più comuni commessi in quelle giurisdizioni sono frodi fiscali, importazione illegale di sigarette, reati contro la proprietà intellettuale e traffico di droga. Su 626 confische avvenute nel periodo 2011-2018 nei porti franchi, la maggior parte riguardava stupefacenti e beni contraffatti.

Uno studio dell’Ocse pubblicato nel 2018 stima invece che, per ogni nuovo porto franco che entra in funzione, i beni contraffatti esportati aumentino del 5,9%. Nonostante questi rischi, le free zone sono oggi quasi 5.400 nel mondo, mille delle quali aperte negli ultimi cinque anni. Tra le zone speciali c’è anche il porto di Londra Gateway, di proprietà del «Dubai dp world», società guidata dal sultano Ahmed Bin Sulayem. Nel dicembre 2020, 1.600 chili di cocaina sono stati trovati nascosti in un container su un molo. Il cargo arrivava dalla Colombia attraverso Anversa, rotta tipica per importare droga nell’Europa del Nord.

D’ora in poi sarà anche più facile creare fatture fittizie per pagare la merce. La normativa inglese non prevede infatti che sia svelato il beneficiario ultimo di una spedizione. Secondo Anton Moiseienko, co-autore di due dettagliati studi sui porti franchi britannici, «stupisce che il governo inglese non abbia fatto un controllo preventivo sui rischi criminali che ci sono in certe parti del Paese, come nel caso di Liverpool. Nel progetto non sono chiare le responsabilità amministrative di controllo. È un assegno in bianco». Rilanciare l’economia è un giusto e necessario obiettivo anche per la Gran Bretagna, ma deve andare di pari passo con il rafforzamento dei controlli sui traffici illeciti nelle aree ad alto rischio, per non diventare meta di evasori e trafficanti. E ritrovarsi liberi dall’Unione europea ma con nuove organizzazioni criminali in casa.

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