L'Editoriale / Bergamo Città
Sabato 13 Dicembre 2025
Tram, i fondi e il rischio di andare fuori binario
BERGAMO. Non basta mettere i binari né tantomeno comprare i treni, per garantire un servizio servono i soldi. In tal senso la vicenda della linea T2 del tram è emblematica, i lavori stanno procedendo secondo i tempi previsti, per il prossimo anno scolastico il collegamento tra Bergamo e Villa d’Almè potrebbe prendere il via, l’infrastruttura ridisegnerà alcune importanti parti del capoluogo e pure dei Comuni limitrofi.
Ma le buone notizie finiscono qui e si fa strada un interrogativo, semplice nella forma, complicatissimo nella sostanza: chi paga? Poco più di un mese fa il presidente della Regione, Attilio Fontana, in occasione degli Stati generali della mobilità aveva rivolto un invito al Governo (dello stesso colore della Regione) affinché venissero rivisti i criteri di ripartizione del Fondo nazionale per il trasporto pubblico, aumentando cioè la quota destinata alla Lombardia: «Siamo l’unica Regione che deve integrare le risorse che arrivano dal Fondo del trasporto pubblico». Mettendoci ogni anno 419 milioni di fondi propri, in soldoni. Lo Stato versa difatti solo il 57% del costo dei servizi di Tpl in Lombardia, in altre regioni la percentuale è decisamente superiore, talvolta di molto. Sempre nella medesima occasione la seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato Ignazio La Russa (esponente della medesima maggioranza che regge Palazzo Chigi e Palazzo Lombardia), si era assolutamente detto d’accordo nell’eliminare questa sperequazione.
Lungi da noi pensare che un simile problema possa trovare soluzione in un così breve lasso di tempo, a maggior ragione se una realtà come la Lombardia, che si fregia di essere la locomotiva del Paese, al tirar delle somme riceve solo il 17,6% delle risorse del Fondo nazionale trasporti. Dati forniti dall’assessore regionale Franco Lucente, esponente di FdI, lo stesso partito della premier Giorgia Meloni. Come dire che almeno dal punto di vista dei rapporti non dovrebbe essere così complesso avviare delle interlocuzioni a un certo livello, a meno che il peso politico della Lombardia non si riveli inferiore alle aspettative. Al di là dei vari proclami di maniera di chi si diceva sindacato del territorio.
L’analisi economica
Fin qui la parte politica, poi c’è quella tecnico-economica, ancora più complessa. L’appello bipartisan dei consiglieri regionali lombardi è significativo, al punto tale da mettere potenzialmente in difficoltà la stessa Giunta Fontana. Anche per questo i toni non sono ultimativi, ma diplomatici, a tratti morbidi. Far funzionare il trasporto pubblico è un’operazione molto complessa e sicuramente non a costo zero: non ci sono scorciatoie, servono scelte di campo. Per potenziare il servizio servono fondi, a cominciare dalla gestione ordinaria: personale, alimentazione, manutenzione. Non si scappa, nella fase iniziale e nemmeno in quelle successive. E per i servizi tranviari i costi di manutenzione (per garantire efficienza sì, ma soprattutto sicurezza) sono ben superiori a quelli del trasporto su gomma. Può sembrare banale, ma una volta realizzata l’opera bisogna farla funzionare, ed è qui che comincia il difficile.
Pur in presenza di un livello tariffario inferiore alla media europea (ma lo è anche il servizio, in verità), questo copre comunque intorno al 50% dei costi, ma il dato scende notevolmente nel caso del tram perché vanno appunto considerati i costi di manutenzione. E attenzione, la situazione della T2 non è un unicum perché nella seconda metà del prossimo anno arriveranno a traguardo molte opere analoghe in tutta Italia, frutto di un Pnrr che ha messo sul tavolo oltre 3 miliardi di euro per il settore. Anche per questo bisogna andare da subito oltre la stretta visione della semplice messa in servizio per ragionare in un’ottica di prospettiva. Necessaria.
Rimodulare il servizio
Perché se è vero che Trenord per relazioni come il treno per Orio può contare sui 50 milioni l’anno di servizi aggiuntivi previsti nel Contratto di servizio (e fermo restando che proposte del genere hanno margini di manovra più ampi sul versante tariffario, basti pensare a quelli dedicati in molti scali europei) non altrettanto si può dire per il resto del settore. Bisogna quindi ragionare anche su una rimodulazione del servizio su gomma in funzione delle nuove infrastrutture (al plurale, il tema si ripropone anche per l’e-Brt), una necessaria razionalizzazione consapevoli che sul tavolo non ci sono risorse infinite. Anzi, il rischio è che non ce ne siano proprio. E se da una parte il trasporto pubblico locale ha in sé un fondamentale ruolo sociale (che in questi anni abbraccia anche gli aspetti ambientali), dall’altra per farlo funzionare bene va portato soprattutto laddove c’è tanta gente da trasportare per aumentare così gli introiti da tariffa e reinvestirli nel servizio. Un circolo virtuoso dove però basta davvero poco per finire fuori dai binari.
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