Tre passaggi per ridurre le distanze tra i salari

Economia. Un dirigente della Bergamasca, nel 2021, ha guadagnato in media sette volte più di un operaio della stessa provincia: 148.180 euro a fronte di 20.229 euro, secondo i dati Inps rielaborati negli scorsi giorni da questo quotidiano.

Per i «capitalisti democratici», osservava il filosofo e saggista cattolico americano Michael Novak (1933-2017), l’esistenza di una minoranza di persone con reddito elevato non è qualcosa di scandaloso, «vi sarebbe scandalo soltanto se si potesse dimostrare che il maggior reddito di una minoranza va a danno di altri». Ridurre la «forbice» tra gli stipendi alzando quelli più bassi, invece, è un obiettivo condivisibile, soprattutto in una congiuntura caratterizzata da una perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione.

Nella Legge di bilancio predisposta dal Governo, si compie almeno un passo in questa direzione, con la riduzione del cuneo fiscale e contributivo, cioè quell’insieme di imposte e dei contributi pagati da lavoratori e imprese che in Italia è tra i più elevati dei Paesi avanzati. Abbassare il cuneo fiscale equivale a ridurre la differenza tra il costo sostenuto da un’azienda per pagare un lavoratore e lo stipendio netto che lo stesso lavoratore riceve.

Il Governo ha tagliato del 2% i contributi previdenziali a carico dei dipendenti con un reddito annuo fino a 35mila euro, e del 3% gli stessi contributi per i dipendenti con un reddito fino a 20mila euro. Questa fascia di lavoratori avrà dunque una busta paga un po’ più pesante dal prossimo anno, senza doversi rassegnare a una pensione più leggera in futuro. Come sia possibile, è presto detto: la copertura contributiva sarà assicurata dallo Stato, da qui lo stanziamento di circa 4,5 miliardi da parte dell’esecutivo. «Prudenza e realismo», più volte richiamati dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, hanno imposto questa dimensione al taglio del cuneo.

A chi obietta che è troppo poco, bisognerà ricordare che nel medio periodo – parliamo cioè del prossimo quinquennio – c’è soltanto un modo sostenibile per diminuire in maniera più significativa il carico fiscale su lavoratori dipendenti e imprese: visto che con il cuneo fiscale si pagano pensioni e prestazioni sociali dei lavoratori, per ridurlo – senza indebitarsi ancora o senza intaccare quelli che sono considerati diritti acquisiti – sarà necessario rimodulare e ridurre altre voci della spesa pubblica del nostro Paese. Una missione nient’affatto impossibile, considerato che ormai dalle casse dello Stato esce ogni anno la cifra record di 1.000 miliardi di euro, ma che necessita di una attenta pianificazione.

Nell’immediato, invece, con lo stesso obiettivo di riduzione del cuneo si potrebbe ragionare su ipotesi come quelle suggerite a più riprese da Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali: consentire per esempio alle imprese di offrire un rimborso pasti per ogni giorno lavorato senza che ciò costituisca reddito per il dipendente e potendo dedurre tale costo dal reddito d’impresa, oppure rendere più semplice e fruibile per i lavoratori l’utilizzo del buono trasporto, o infine ampliare welfare aziendale e premi di risultato mediante la semplificazione delle attuali procedure. L’innalzamento a 3.000 euro del tetto dei fringe benefit aziendali detassati, previsto (con alcuni limiti di applicazione) dal Decreto Aiuti-quater, sembra sposare questa filosofia «sussidiaria» d’intervento sugli stipendi.

Infine, per il lungo periodo, diciamo per i prossimi dieci anni, a contare per la busta paga dei lavoratori saranno soprattutto i «fondamentali». Come hanno scritto di recente due economisti della Bank of England, Rupa Patel e Jack Meaning, «al livello più basico, gli stipendi dovrebbero dipendere da quanto ciascun lavoratore vale agli occhi del datore di lavoro. Gli economisti lo chiamano “prodotto marginale”: è la quantità di valore in termini monetari che un imprenditore ottiene aggiungendo uno specifico dipendente alla propria forza lavoro. Più alta è la produttività del lavoratore, cioè il valore in termini monetari che egli riesce a produrre in un’ora di tempo, più alto sarà il suo stipendio». Accrescere la produttività, del lavoro come dell’intero sistema Italia, meriterebbe ulteriori e più approfondite riflessioni, eppure è solo così che le disuguaglianze attuali potranno essere davvero colmate e rese accettabili.

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