Un moderato, costruttore
di un’Europa più giusta

Forse Henry Kissinger, leggendario segretario di Stato americano, questa volta avrebbe saputo chi «chiamare per parlare con l’Europa». Dall’altro capo della linea ci sarebbe stato David Sassoli, uno che all’Europa ci credeva, nei fatti e senza quei proclami pieni di parole ma spesso vuoti di contenuti. Giornalista Rai e volto televisivo molto noto prima, eurodeputato Pd e presidente del Parlamento europeo poi, Sassoli è scomparso ieri per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute: anche per questo motivo (ma non solo) aveva rinunciato a ricandidarsi alla guida dell’aula. Europeista e democratico convinto, Sassoli era quel che si dice un moderato: mai una parola fuori posto o una concessione alla polemica. In un certo senso era come se avesse portato nelle istituzioni europee quel certo qual stile dell’ammiraglia dell’informazione di Mamma Rai, quel Tg1 dove si entrava nelle case degli italiani in ordine, con il vestito buono, la giusta educazione e chiedendo permesso. Un atteggiamento che Sassoli ha fatto proprio non per necessità, ma per convinzione e portato in politica con modi e sorriso quasi kennedyani.

Moderato sì, ma non debole: lo sa bene la Russia dello zar Putin che dopo le sanzioni dell’Ue l’aveva inserito nella black list degli ospiti indesiderati. Ma anche la stessa Angela Merkel, ripresa diverse volte per gli atteggiamenti a volte ondivaghi verso le pulsioni nazionaliste (e gli egoismi) degli ex Stati del patto di Varsavia, Ungheria e Polonia su tutti.

In un mondo che tritura tutto con una velocità impressionante forse sarebbe utile guardare a questi 2 anni e mezzo di presidenza del Parlamento europeo di Sassoli cercando se non di fermare il tempo quanto meno di rallentarlo, per mettere meglio a fuoco alcuni avvenimenti. L’attuazione di quella Brexit votata nel 2016 e ufficialmente avviata l’anno dopo da Downing street, le turbolenze a tratti antidemocratiche dei Paesi dell’Est, la devastante pandemia e la ripartenza che vede l’Ue al centro delle dinamiche socioeconomiche, in primis con il Piano Next Generation.

In tutti questi passaggi un politico come Sassoli è sempre stato ben attento da un lato a garantire ruolo e prerogative di un’assemblea messa in discussione sia per problemi quasi endemici che da tempi dove il confronto politico si vorrebbe spesso sacrificato in nome di un decisionismo di maniera, dall’altro a cercare soluzioni che fossero le più condivise possibili, così da puntellare l’Ue in evidente difficoltà. Tutto con uno sguardo di rigore, e preoccupato, al risorgere imperante di populismi e nazionalismi, i veri nemici di un’Europa sicuramente da rivedere nelle forme e forse anche nelle istituzioni, ma che, come aveva più volte ripetuto nel suo discorso d’insediamento del luglio 2019 «non è un incidente della storia».

Ci credeva all’Europa, tanto più in tempi dove pandemia, povertà e nuovi muri stanno rimettendo in discussione tante cose e i limiti di un’unione più monetaria che politica si stanno facendo sempre più evidenti. Per questo Sassoli non ha mai esitato a schierarsi contro i nuovi egoismi che serpeggiavano ad Est (e non solo), a usare parole di fuoco davanti al dramma dei profughi, alle derive autoritarie, al venir meno di diritti fondamentali come quello alla libera espressione e contro le limitazioni alla stampa, tema che ovviamente l’ha sempre visto molto sensibile. Tutto senza alzare la voce, ma nemmeno abbassare lo sguardo o, peggio ancora, volgerlo altrove. Con sobrietà, concretezza, umanità (parola quasi fuori moda...) e la stessa convinzione di Robert Schuman, uno dei padri dell’Europa, che nell’incipit della famosa dichiarazione del 1950 aveva già detto tutto: «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano». Parole come pietre, ora come allora.

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