Un piano senza vere prospettive per Gaza

MONDO. La retorica spesso si veste di parole mirabolanti, capaci di dipingere scenari perfetti e soluzioni ideali a problemi molto complessi. E talvolta si ammanta di azzardate affermazioni, dal sapore beffardo.

Il Piano in 20 punti per mettere fine al conflitto in Palestina redatto dagli Usa (con il pieno sostegno israeliano) è stato presentato dal presidente Trump, davanti ai giornalisti, come il prodotto di «una grande giornata e potenzialmente uno dei più grandi eventi mai visti dalla nascita della civiltà». La devastazione e i massacri compiuti ai danni della popolazione civile in Palestina, accanto alla consapevolezza della impotenza sostanziale di poterli fermare, ha indotto le Cancellerie europee e gli Stati arabi ad avallare ciò che sembra l’ultimo disperato tentativo di mettere fine a una tragedia continua. Insomma, si fa buon viso a cattiva sorte. Ma il Piano in 20 punti ha probabilità di successo non soltanto nel breve, ma anche nel medio - lungo periodo? Un’analisi sufficientemente approfondita non può che dare una risposta negativa.

Difficilmente Hamas potrà accettare previsioni imposte e non concordate e che sembrano non assicurare effettivamente un percorso verso uno Stato Palestinese.

Israele - come ha scritto il «Times of Israel» - ha ottenuto tutto ciò che voleva con condizioni migliori rispetto a piani già redatti in precedenza. Difficilmente Hamas potrà accettare previsioni imposte e non concordate e che sembrano non assicurare effettivamente un percorso verso uno Stato Palestinese. All’organizzazione terrorista si chiede - come prima condizione imprescindibile - di consegnare tutti gli ostaggi entro tre giorni. Ma il controllo degli israeliani ancora in mano ad Hamas rimane pur sempre l’arma più potente per negoziare con Tel Aviv. Inoltre la richiesta di disarmo completo e la distruzione di tutte le gallerie sotterranee significherebbe ridurre a zero ogni possibilità di resistenza ancora esistente. In aggiunta non si prevede la completa uscita delle truppe israeliane da Gaza anche al termine di un progressivo ritiro, punto che appare inaccettabile per Hamas.

Ma anche qualora si giungesse ad un accordo provvisorio, nel Piano non si scorge alcun riferimento ad un’autentica «autodeterminazione» del popolo palestinese. Ci si riferisce a come Gaza verrà governata in futuro, e per molto tempo non sarà in mano ai palestinesi. E quando lo sarà, saranno americani e israeliani (probabilmente soltanto questi) a decidere di fatto i rappresentanti dell’Autorità Nazionale Palestinese «depurata» da elementi ostili.

La folle e feroce determinazione che ha spinto Hamas ad una carneficina senza precedenti il 7 ottobre 2023, unita alla sostanziale indifferenza per la perdita di migliaia di vite dei propri connazionali, non depone certo a favore di un atteggiamento conciliatorio di Hamas.

In ultima analisi, i palestinesi avranno alla fine di un lungo percorso un loro Stato sovrano? Anche qui è difficile dare un responso positivo. Nel ventesimo punto del Piano non vi è un orizzonte politico preciso, perché si sostiene che gli Stati Uniti metteranno in piedi un dialogo tra le parti per «un orizzonte politico di coesistenza pacifica e prosperosa». Washington come mediatore imparziale? La folle e feroce determinazione che ha spinto Hamas ad una carneficina senza precedenti il 7 ottobre 2023, unita alla sostanziale indifferenza per la perdita di migliaia di vite dei propri connazionali, non depone certo a favore di un atteggiamento conciliatorio di Hamas.

Lo spregiudicato «gioco» diplomatico - per come è stato concepito sulla pelle dei palestinesi - sembra più dettato dalla necessità di mostrarsi «propositivi» piuttosto che di disegnare un futuro nell’area martoriata da troppi mesi di operazioni militari contro i civili. Ne sono prova le ambigue parole di Netanyahu quando ha dichiarato che anche se Hamas accettasse formalmente il Piano, ma facesse una sorda resistenza di fatto, Israele porterebbe a termine il proprio progetto con le maniere forti. Ciò significa spingere la popolazione palestinese nella parte più a sud di Gaza e poi -possibilmente - forzarla verso l’Egitto come obiettivo finale, più volte ribadito in molti ambienti della destra in Israele.

Più probabilmente, una realtà tragica - quella della continuazione dei massacri a Gaza - si prospetta per le prossime settimane nella sua terribile evoluzione e fino a quando Washington lascerà mano libera al governo israeliano. Con buona pace degli ambienti suprematisti e messianici che dominano il dibattito culturale nella destra americana.

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