Una vittoria ottenuta con il fronte anti Le Pen

Come ampiamente previsto, Emmanuel Macron è stato rieletto e sarà Presidente della Francia per altri cinque anni. Lo scarto è stato ampio, secondo gli exit poll alla chiusura delle urne 58,5% contro 41,5%, anche se molto meno ampio di quanto lo fosse cinque anni fa, quando Macron al secondo turno si impose, anche allora su Marine Le Pen, con uno scarto di quasi trenta punti percentuali, 66,10% contro 33,90%. Com’è ovvio, questa volta non ha giovato alla Le Pen lo storico rapporto con
la Russia di Vladimir Putin, e la vicenda dei finanziamenti
a suo tempo ottenuti presso una banca russa vicina al Cremlino.

Ma questo è stato solo un fardello in più per una candidata che, alla fin fine, viene ancora percepita come una mina vagante, l’esponente di un atteggiamento anti-sistema che non riesce a coalizzare nemmeno tutti gli anti-sistema, visto che il 42% dei seguaci di France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, contestatori radicali di sinistra, hanno dichiarato di appoggiare un tipico uomo del sistema come Macron.

Insomma, si è di nuovo formata un’eterogenea miscela di elettori che, assai più che di premiare Macron (peraltro entrato nel ristretto club dei rieletti, come De Gaulle, Mitterrand e Chirac) hanno scelto di sconfiggere la Le Pen. Com’era successo già cinque anni fa e, volendo andare un po’ più indietro nel tempo, nel 2002 con Jean-Marie Le Pen, padre di Marine, che arrivò al secondo turno contro Jacques Chirac. È il fenomeno del «fronte repubblicano», una specie di argine che si alza spontaneo quando si percepisce un rischio per la stabilità della Repubblica. Saremmo quindi prudenti nel dire che la Francia ha scelto l’atlantismo, l’europeismo e il liberalismo incarnati, peraltro «alla francese» e senza mai dimenticare il tradizionale spirito di grandeur, del Presidente ora confermato. E lo scopriremo presto, cioè quando si andrà alle elezioni politiche per rinnovare il Parlamento e i diversi partiti correranno non più contro la Le Pen ma per se stessi. Melenchon già chiede di essere votato per diventare primo ministro. È una boutade ma fino a un certo punto, visto che il movimento della sinistra più estrema ha superato quota 20% al primo turno delle presidenziali.

Nello stesso tempo non si può sottovalutare il fatto che la Le Pen sia andata agilmente oltre il 40% dei voti al ballottaggio. Anche in questo caso, ad averla spinta pare più la diffidenza generalizzata per le politiche macroniane che non il merito personale o la linea politica, adattata in corsa ai mutamenti della situazione internazionale. Inutile illudersi, per quanti discorsi si possano fare sui valori o sull’affidabilità, resta il fatto che Macron raccoglie consensi soprattutto nella borghesia media e alta, tra i garantiti e gli affluenti. La piccola borghesia e i lavoratori si sentono puniti dalle sue politiche, e detestano quell’immagine da tecnocrate saputello, indifferente ai problemi reali della piccola gente, che il Presidente non riesce a cancellare dal suo modo di essere e di comparire. Se si fosse votato solo nel Nord della Francia colpito dalla crisi economica e dalla rarefazione delle industrie, e nel Sud che vive in presa diretta le ambiguità nazionali ed europee sulla gestione dei flussi migratori, oggi la Le Pen (o chi per essa) sarebbe Presidente. E pensare che i voti per la Le Pen vengano solo da bruti ignoranti e fascisti vuol dire ignorare la realtà di quasi tutte le società dei Paesi sviluppati, dove cresce di giorno in giorno la polarizzazione tra città e periferie, tra ricchi e poveri, tra super-laureati e poco-istruiti, tra lavoratori specializzati e lavoratori generici, tra digitali e analogici.

Sarà questo il tema decisivo del prossimo quinquennio presidenziale, e non sempre ci sarà una guerra in Europa a richiamare l’attenzione. Macron, che è un politico straordinariamente astuto e intelligente, dovrebbe aver meditato la lezione della crisi di gilet gialli, scoppiata all’incauto annuncio di un aumento del prezzo dei carburanti. Se il costo del gasolio può provocare un tale problema, vuol dire che una porzione non piccola della società vive su margini economici assai ristretti. Non diremmo che per essere liberale una società debba necessariamente arrivare a questi punti.

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