Usa e Cina, stop alle provocazioni

ESTERI. Su una cosa Usa e Cina concordano in modo evidente: la necessità di mettere un freno alla spirale di provocazioni reciproche che negli ultimi tempi si era fatta così serrata da far temere il peggio.

Proprio a questo si deve da un lato il viaggio a Pechino del segretario di Stato Usa Anthony Blinken, dall’altro il fatto che, oltre al suo omologo Qin Qang e al responsabile esteri del Partito comunista cinese Wang Yi, abbia potuto incontrare anche il presidente Xi Jinping. Non è poco, e riempie la prima visita di un segretario di Stato Usa a Pechino dopo cinque anni di vuoto, per di più preceduta dall’auspicio del presidente Biden di poter incontrare presto Xi Jinping.

Per dirla con una battuta: toccato il fondo, nessuno dei due giganti sente la necessità o la voglia di mettersi a scavare. Una buona notizia. Da qui in avanti, però, tutto resta da costruire. Ovviamente si è parlato di Taiwan e altrettanto ovviamente Usa e Cina hanno ribadito le proprie posizioni. Blinken dicendo ciò che gli Usa non vogliono: non una nuova guerra fredda, non l’indipendenza dell’isola, non un mutamento dello status quo. Quin Qang, Wan Yi e di sicuro anche Xi Jinping dicendo invece ciò che vogliono: che Taiwan sia riconosciuta come parte integrante della Cina e che gli Usa non si immischino.

Al di là delle questioni ideali o presunte tali, Taiwan viene usata dagli uni e dagli altri come un randello, da agitare avendo però in mente altri problemi. Quello centrale è l’economia e la precipitosa rincorsa della Cina al ruolo di prima potenza economica mondiale. Lo confermano i dati: nel 2022, anno di tensioni reciproche se mai ce n’è stato uno, gli scambi commerciali tra Usa (che esporta prodotti agricoli e generi alimentari) e Cina (che esporta beni di consumo) hanno toccato il valore record di 690,6 miliardi di dollari. Il record precedente risaliva al 2018. La relazione, però, è sbilanciata a favore della Cina, che vanta con gli Usa un credito di 948,1 miliardi di dollari. Gli Usa accusano la Cina di giocare con carte truccate: la sua economia è meno aperta agli investitori stranieri, i copyright non sono rispettati, Pechino usa la crescente potenza economica per condizionare la vita e le politiche dei Paesi (asiatici e non solo) alleati degli Usa.

Da qui la strategia Usa di decoupling (distacco, o alla lettera: disaccoppiamento) della propria economia da quella cinese. Cominciò Trump, a modo suo, nel 2018, con una raffica di dazi sulle merci cinesi, dazi che poi Biden ha in genere mantenuto. Poi, con Trump e poi con Biden, è stata avviata la ritirata strategica dalla Cina delle aziende americane o di Paesi alleati (colossi come Apple, Samsung, HP, Dell, Microsoft, Foxconn, Suzuki) verso approdi più sicuri in Vietnam, Thailandia, Taiwan, India e Cambogia. Da lì a chiedere alla Cina riforme strutturali, che dall’economico si riversano nel politico, il passo è stato breve. Economia più aperta diventa autonomia per Hong Kong, diritti umani per gli uiguri dello Xinjiang, blocco dei colossi cinesi delle telecomunicazioni accusati di lavorare per il Partito e così via. Temi che Blinken ha toccato con i suoi interlocutori, ottenendo per ora la risposta standard del Celeste Impero: la Cina vuole andare d’accordo con tutti ma chiede rispetto. Che tradotto dal diplomatese significa: noi siamo la Cina, non uno Staterello qualunque, non provate nemmeno a insegnarci come si campa.

Il vero terreno di scontro è questo, e qui di strada da fare ce n’è moltissima. Con una differenza, oggi: Biden e Blinken hanno una scadenza, le elezioni presidenziali del 2024, che Xi Jinping non ha, essendo appena stato rieletto per cinque anni. E in questo contesto, facendo magari un po’ di dietrologia, entra la guerra in Ucraina. A Pechino Blinken ha detto che gli Usa non hanno prove di ciò che molti bisbigliano, e cioè che la Cina fornisca armi alla Russia. Un gesto conciliante che fa pensare al desiderio di mettere un cuneo nei rapporti tra Cina e Russia ma anche a una certa necessità, per la Casa Bianca, di ottenere un qualche successo internazionale, soprattutto se al voto l’elettorato Usa dovesse arrivare con notizie poco positive dal fronte ucraino. Ma questo è, semmai, il futuro. Il presente è fatto di piccoli passi come quello appena compiuto da Blinken.

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