Vocazione maggioritaria, la rinuncia della sinistra

ITALIA. Le ultime due settimane sono state teatro di manifestazioni che hanno segnato un cambio di passo nella vita della sinistra italiana. Sabato 11 c’è stata la manifestazione organizzata dal Pd della Schlein in Piazza del popolo a Roma. L’altro ieri si è tenuto lo sciopero generale intensamente voluto dalla Cgil di Landini, oltre che dalla Uil di Bombardieri. Due diverse manifestazioni per più aspetti.

Per il loro carattere (l’una di partito, l’altra sindacale), ma anche, se non proprio per temi posti al centro delle mobilitazioni, quanto meno per il diverso accento con cui sono stati posti: finanziaria, salari, sanità, scuola…Eppure, entrambe contrassegnano lo stesso cambiamento intervenuto nell’iniziativa della sinistra. Sono tre gli aspetti di questa svolta. Primo: la riscoperta della piazza. Secondo: un rinnovato impegno teso a risollevare, e possibilmente galvanizzare, il morale del proprio popolo, rimasto depresso dopo la pesante sconfitta subita alle politiche dell’anno scorso che ha consegnato per la prima volta nella storia d’Italia alla destra estrema la guida del governo. E ancora: il passaggio ad una fase di più aperta conflittualità interna per la conquista della leadership tra i tre competitori in campo, espressione di tre forze diverse: Schlein per il Pd, Conte per il M5S, Landini per la base sindacal-popolare.

Alla comparsa di questi elementi di novità si è unita però anche la conferma di limiti presenti nella strategia politica adottata dalla sinistra a partire dall’abbandono di quella «vocazione maggioritaria» indicata come missione del Pd al momento della sua nascita. Innanzitutto, pesa la persistente assenza di una leadership, aggravata per di più da un’accesa rivalità interna tra i tre competitori, che non pare proprio il presupposto perché la sinistra possa, in prospettiva, coronare con successo la sua legittima ambizione di spodestare la destra dalla guida del Paese e, nell’immediato, ottenere un confortante risultato alle prossime elezioni europee.

In secondo luogo, paradossalmente sconta il danno di trovarsi con tre concorrenti alla leadership che non prospettano tre politiche alternative, bensì tre varianti dello stesso indirizzo. Con approcci e linguaggi diversi, i tre aspiranti leader puntano infatti le loro carte sulla stessa casella: quella di un colore rosso intenso della sinistra dura e pura. Schlein lo fa radicalizzando la sua opposizione al governo Meloni, sperando che lo scontro sia di per sé foriero di un riscatto dell’opposizione a prescindere dal voto di proposte che continua a contrassegnare la sua iniziativa politica. Conte fa leva sul malcontento che in ampie fasce popolari cresce tra gli strati più deboli per le pesanti difficoltà economiche e sociali di cui soffrono in questo periodo. Landini, infine, punta a dar voce alla rabbia operaia alimentata da bassi salari, inflazione, erosione del Welfare (pensioni, sanità, scuola), indirizzandola in modo mirato contro il governo della destra. Sono iniziative diverse, ma tutte egualmente rivolte a risvegliare lo spirito di lotta del popolo di sinistra, chiamandolo alla mobilitazione.

Non li scoraggia il riscontro inoppugnabile di una persistente sordità ai loro appelli di una cospicua porzione del loro elettorato, rifugiatasi nell’astensione. Schlein fatica a uscire dalla cerchia della borghesia urbana. Conte resta confinato nelle aree della marginalità sociale delle zone urbane periferiche. Landini si è arroccato nella difesa del proletariato sindacalizzato. Ora, pur ammettendo che il risveglio dello spirito di lotta riesca a far serrare le file della sinistra sparsa, la linea prescelta trascura quel mondo - lo si chiami moderato, centrista, dei ceti medi - non organico alla sinistra, senza del quale è illusorio per essa puntare a conquistare una maggioranza. Non è un caso che gli unici leader che hanno fatto assaporare alla sinistra il gusto della vittoria siano stati due leader non propriamente inscrivibili nella galleria dei campioni della sinistra, come Romano Prodi e Matteo Renzi.

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