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MONDO. Il vertice dei volenterosi a Londra è fallito. Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha rinunciato all’ultimo minuto e nel più puro stile trumpiano messo a nudo che Gran Bretagna, Francia e Germania senza gli americani sono anatre zoppe. Senza l’apporto Usa, cioè di Trump, non vi è spazio per trattative.
L’Ucraina dipende dall’arsenale militare americano e in caso di defezione del potente alleato d’oltreoceano, Kiev non può durare a lungo. E questo nonostante l’eroismo dei suoi combattenti. L’arroganza americana è figlia dell’avidità economica del businessman eletto alla Casa Bianca. Nella sua brutalità il presidente americano ha messo a nudo le velleità di Francia, Gran Bretagna. Potenze vincitrici nella Seconda guerra mondiale e alle quali si è aggiunta la Germania, a sua volta vittoriosa in economia negli ultimi cinquant’anni. Loro la responsabilità di non essere riuscite a creare un’Europa in grado di fronteggiare il presente. Un’Europa che prescinda dalle civetterie di chi rivendica il diritto di essere il primo della classe. Un’Europa dei nazionalismi sotto traccia, quella che trova la sua espressione nell’ Ue intergovernativa. Quella dove le decisioni si prendono tra singoli Stati e quindi in un rapporto sbilanciato tra chi ha più potere e chi meno.
Le imposizioni dei criteri punitivi alla Grecia nel 2010 portano il crisma del ministro delle Finanze tedesco. E nessuno ebbe la forza di contraddirlo. Quest’Europa dalla quale la Gran Bretagna uscì nel 2016 con il referendum popolare non c’è più. L’ha messa in crisi la guerra di aggressione russa all’Ucraina e il prepotere economico e militare americano di Donald Trump.
In questo vuoto che si è creato l’Italia può giocare un ruolo. La tutela degli interessi italiani coincide con il desiderio di Roma di aver un maggior peso e una maggiore visibilità all’interno dell’Unione. Quest’ambizione trova spazio là dove i grandi di Europa hanno fallito. Ovvero nella pretesa di muoversi da soli senza coordinarsi con gli Stati Uniti. Questo è il senso della fuga in avanti di Emmanuel Macron e di Keir Starmer. Condurre una guerra di principio e ideologica contro l’autocrate russo laddove i rapporti di forza sono impietosi. Anche a Bruxelles adesso sanno che non resta che giocare la carta Meloni. Il capo del governo italiano è l’unico interlocutore rimasto all’Unione per tenere aperti i contatti con Washington. L’obiettivo che è andato perso è l’unità dell’Occidente. Solo la prospettiva di «non abbaiare alle porte» di Mosca può indurre la presidenza americana a riconsiderare il suo rapporto con l’Europa. A Washington capiscono però solo le cifre del business e quindi occorre che l’Europa mostri disponibilità nelle sue opzioni tariffarie, negli investimenti in Usa, nel rafforzamento militare, nella sua dipendenza energetica dal gas liquefatto degli States. Al nostro alleato le battaglie sui principi appaiono appetibili solo quando si paga pegno. Per l’unità nella comune appartenenza culturale, politica e anche religiosa con Trump ci vuole realismo politico.
Giorgia Meloni sembra in grado di disporne. Ha come obiettivo disarticolare gli equilibri di potere in Europa. L’accordo sui dazi e la pace in Ucraina sono la premessa per convincere i suoi interlocutori nell’Ue che gli interessi del governo italiano non sono in contrapposizione con quelli europei. Si tratta di dare all’Europa una visione multipolare al suo interno. Che è poi la configurazione del mondo che verrà. Non solo quello del confronto muscolare con la Cina ma dell’inclusione di quelli che ora sono esclusi, anche se non per molto. India, Brasile, Sudafrica premono già sulla scena internazionale. Ma dietro vi sono mondi che chiedono accettazione. E l’Italia per la sua collocazione geopolitica e strategica è il partner ricercato.
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