Canale di Suez, la crisi si sente: spese lievitate e forniture in ritardo

LOGISTICA. La rotta è strategica per le nostre imprese. Oldrati: si vedono già effetti su costi e tempi di consegna. Rota: trasporti, rialzo dei prezzi non sempre giustificati.

L’instabilità geopolitica in Medio Oriente continua a provocare negativi riflessi sui mercati internazionali e sul business nei mercati globali. A partire dal crollo del traffico marittimo nel Mar Rosso a seguito degli attacchi dei ribelli Houthi alle navi e dei bombardamenti sull’area di queste ore, che hanno dato vita a contraccolpi già visibili in primis sul mondo della logistica e dei trasporti, con ritardi nelle forniture e costi lievitati, a volte pure in misura ingiustificata. Dal Canale di Suez transita infatti il 12% del commercio internazionale, il 10% del petrolio e l’8% del gas. Una complicazione per le nostre organizzazioni industriali, che probabilmente non tarderà ad incidere anche sensibilmente nel settore manifatturiero bergamasco.

A subire le prime conseguenze le aziende che si riforniscono di materie prime anche nei mercati asiatici. Lo conferma Umberto Poletto, titolare di Pmg, azienda con quartier generale a Cenate Sotto e stabilimenti in Romania e Cina, specializzata nella produzione di mescole a base di elastomeri speciali ad elevata tecnologia: «Gli approvvigionamenti di materie prime e flouroelastomeri dai nostri fornitori con stabilimenti in Cina, ci impongono spedizioni aeree oppure soluzioni marittime alternative, con un’impennata dei costi e allungamento dei tempi di fornitura, anche di due settimane». Gli fa eco Paolo Rota titolare di Italian Cable Company di Bolgare che produce cavi per l’industria: «Ci sono materiali di base che necessariamente ci impongono forniture dalla Cina e pertanto il transito marittimo dal Canale di Suez. Dopodiché c’è anche la consapevolezza che in alcuni casi i trasportatori transoceanici impongano costi aggiuntivi non giustificabili a fronte delle nuove rotte. Peraltro, non va dimenticato che non esiste un blocco totale di Suez e proprio per fronteggiare il rischio di attacchi da parte di ribelli c’è chi ha sottoscritto contratti assicurativi non indifferenti».

Insomma, non mancano possibilità di speculazione con il rischio di provocare contraccolpi inflazionistici, con aumenti scaricati sulla merce e quindi sui consumatori finali. Lo sa bene chi produce componenti per mercati diversificati e forniture internazionali, dall’automotive, al manifatturiero all’elettrodomestico. «Al momento quanto sta accadendo nell’area di Suez influisce direttamente su costi e tempi di consegna», spiega Manuel Oldrati, ceo di Oldrati Group di Villongo, «ma per ora non dovrebbero portare a contraccolpi sugli ordinativi. Certo è - aggiunge - che quanto sta accadendo, con l’allungamento della guerra di Gaza e il bombardamento dello Yemen, suscita qualche allarme da non sottovalutare».

Preoccupati anche gli spedizionieri

Ad essere preoccupati anche gli spedizionieri. L’Italia è in prima linea in questa crisi, perché parte del nostro interscambio commerciale passa su questa rotta oggi insicura e pericolosa. «Normalmente - spiega Pier Sandro Cortinovis, del direttivo dell’Associazione spedizionieri e corrieri orobici (Asco) - il 40% dell’import-export nazionale via mare viaggia sulle navi portacontainer che l’attraversano, per un valore di 154 miliardi di euro l’anno, di cui circa 5 miliardi riguardano Bergamo». Visti i numeri, l’attenzione degli operatori su come sta evolvendo la situazione, è costante. «Innanzitutto i continui attacchi alle navi dallo Yemen da parte dei ribelli Houthi filo iraniani, hanno fatto lievitare i costi delle polizze assicurative fino a superare il 400%» fa presente il rappresentate degli spedizionieri bergamaschi.

A pesare anche l’allungamento dei tempi di navigazione: passando per il Capo di Buona Speranza la durata del viaggio delle navi da Shanghai a Genova passa infatti da 32 a 47 giorni. Risultato? «Il prezzo di un container da 40 piedi, da Shanghai a Genova supera i 5.000 dollari, con un aumento settimanale di quasi il 30». «Solo per il carburante - conclude Cortinovis - occorrono fra i 650mila e il milione di dollari in più a viaggio».

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