Delitto di via Tiraboschi, chiesto il giudizio immediato

L’OMICIDIO IN CENTRO, La Procura ha chiesto il giudizio immediato per Sadate Djiram, il 28enne originario del Togo, che si trova in carcere a Monza, nel reparto di osservazione psichiatrica, per la morte del 36enne nativo del Gambia Mamadi Tunkara.

Un omicidio avvenuto nel primo pomeriggio del 3 gennaio in via Tiraboschi in città, nella galleria del passaggio Cividini. L’accusa per Djiram è di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi.

Secondo la ricostruzione dell’accusa, il motivo dell’aggressione a Tunkara, che lavorava come addetto alla sicurezza del Carrefour di via Tiraboshi, sarebbe da ricercare in «una morbosa e accecante gelosia», che il togolese nutriva per la sua ex compagna, che lo aveva lasciato da poco tempo. Il togolese si era convinto, anche se questo pensiero non aveva nessun fondamento (e gli stessi accertamenti hanno escluso tale ipotesi), che Tunkara avesse iniziato una relazione con la sua ex. Il 3 gennaio Djiram era quindi arrivato nella zona dove la vittima lavorava e, dopo averlo visto arrivare in bicicletta, l’aveva bloccato e spintonato contro una vetrina.

Poi lo «aggrediva ferocemente» con un coltello da cucina (la lama era lunga 16 centimetri). Tunkara è stato colpito più volte: come emerso dall’autopsia, sono ben 11 le pugnalate ricevute, «anche quando era a terra esanime». L’azione del 28enne si era interrotta solo grazie all’intervento dei passanti, che gli gridavano di fermarsi. E mentre la vittima era a terra, l’omicida è fuggito. Correndo verso la stazione dei treni, si era disfatto del coltello (poi ritrovato nel cortile di un palazzo). Il giovane era stato poi rintracciato a Chiasso: la polizia elvetica l’aveva trovato senza documenti sul treno diretto a Lugano riconsegnandolo – come previsto dagli accordi internazionali – ai colleghi italiani. Djiram era quindi stato riportato a Bergamo, e davanti agli inquirenti, aveva ammesso l’omicidio.

Arresto convalidato, le scuse alla famiglia

Dopo l’arresto, il 28enne ha poi confermato anche davanti al gip quanto dichiarato in questura alla pm Silvia Marchina, titolare del fascicolo e al procuratore aggiunto Maria Cristina Rota. Nell’interrogatorio di convalida del fermo si era poi detto «dispiaciuto per la famiglia di Mamadi», aggiungendo: «Ho distrutto due vite, la sua e la mia».

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