
L'Editoriale
Mercoledì 10 Settembre 2025
Medioriente all’indietro verso pagine cupe di storia
MONDO. Dopo la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, il Libano, l’Iraq, la Siria, lo Yemen e l’Iran, anche il Qatar ha avuto il dubbio onore di essere bombardato da Israele.
Il Paese che deve difendersi, l’unica democrazia del Medio Oriente, ha colpito la capitale Doha per eliminare il gruppo dirigente di Hamas e soprattutto la direzione politica incaricata di trattare per una tregua a Gaza, tregua che era stata proposta dagli Stati Uniti ed era stata accettata, nei termini dell’ultima proposta americana, anche da Israele.
Le proposte di tregua e le trattative, da parte di Usa e Israele, erano solo una trappola per far radunare la delegazione palestinese e colpirla?
Queste circostanze, unite al fatto che il Qatar comunque possiede una difesa antiaerea di primo livello grazie ai sistemi Usa Patriot e Thaad, aprono una serie di interrogativi che non stemperano ma, anzi, aggravano la situazione. Gli aerei di Israele (almeno una dozzina) sono calati in picchiata in pieno giorno, tra l’altro dopo che Benjamin Netanyahu aveva promesso vendetta per la strage terroristica di Gerusalemme (6 morti in un attacco suicida palestinese a un autobus). E dunque: il Qatar, che da lungo tempo si era assunto il ruolo di mediatore nella crisi di Gaza, era d’accordo e ha lasciato fare? Gli americani (che smentiscano o no) erano d’accordo con gli israeliani o, come insinua qualcuno, hanno addirittura «spento» le difese aeree qatariote per garantire il successo della missione? Le proposte di tregua e le trattative, da parte di Usa e Israele, erano solo una trappola per far radunare la delegazione palestinese e colpirla? E che fine faranno, adesso, gli ostaggi israeliani superstiti ancora prigionieri dei terroristi di Hamas, visto che Netanyahu dice di volerli salvare ma fa quasi solo ciò che può portarli a morte certa?
Israele intoccabile
Alla luce di tutto questo, due considerazioni sono inevitabili. La prima è che Israele ha maturato la convinzione di essere intoccabile, qualunque cosa faccia, ovunque la faccia, a chiunque la faccia. Conta la potenza militare, ovvio, ma conta ancor più l’incondizionato appoggio degli Usa, quello delle finte remore di Biden come quello aperto di Trump. L’Europa, intimidita, è divisa tra vane prese di posizione (quelle della Spagna, per esempio) e affermazioni patetiche come «è prematuro riconoscere lo Stato di Palestina» (Italia) o «a Gaza non c’è genocidio» (Gran Bretagna). La seconda è che l’idea israeliana di pace in Medio Oriente è legata alla paura e all’oppressione. Pace vuol dire, per Netanyahu e i suoi seguaci, aver paura di Israele. O, almeno, aver paura degli Usa. Chi crede che questo possa aprire la strada a un’era di stabilità, tranquillità e benessere nella regione è, a dir poco, un illuso.
Così come si illudeva chi pensava, anche in anni recenti, che le file palestinesi potessero produrre una classe politica degna di questo nome. L’era Abu Mazen, apertasi esattamente vent’anni fa, è stata un unico inesorabile declino, avviato anche dalla sua corresponsabilità nella sconfitta elettorale del 2006 contro Hamas e dalla sconfitta militare poi subita a Gaza. Cosicché a molti palestinesi la doppia facciata di Hamas (con una mano la politica, con l’altra il terrorismo) è sembrata l’unico modo per tenere in allarme Israele, che intanto si allargava nelle centinaia di insediamenti illegali. Il risultato è stato uno stillicidio di sangue del tutto inutile, crudele verso gli israeliani innocenti e dannoso per la causa palestinese, che si è protratto fino all’altroieri: due palestinesi di Cisgiordania hanno ucciso 6 persone, sono condannati dalle autorità della Cisgiordania ed esaltati come eroi da Hamas, mentre i ministri oltranzisti israeliani ora chiedono la distruzione dei villaggi di cui i due terroristi erano originari. Da un lato e dall’altro, una fuga non in avanti, verso improbabili resort sulle spiagge di Gaza, ma indietro, verso le pagine più cupe della storia.
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