
(Foto di ANSA)
ALLE URNE . Italiani al voto su lavoro e cittadinanza. Il governo è per l’astensione, a sinistra prevale il «Sì» ma con dei distinguo. Per l’abrogazione delle leggi serve che voti il 50% più uno degli elettori, soglia raggiunta solo una volta negli ultimi 30 anni.
Prima di tutto quanti, poi come. La battaglia politica attorno ai referendum di domani e lunedì si è consumata sull’affluenza. Per una considerazione molto semplice: il quorum che rende valido questo tipo di consultazione è il 50% degli elettori più uno, soglia mai raggiunta negli ultimi trent’anni. Tranne un’eccezione: il quesito sull’acqua del 2011. Non a caso, le forze di centrodestra - contrarie ai prossimi referendum - stanno facendo campagna per l’astensione, mentre quelle di centrosinistra sono compatte sull’invito ad andare alle urne. Solo su quello, per la verità. Nel merito, seguire il navigatore del «chi vota come» significa inoltrarsi nel solito labirinto della politica italiana.
I quesiti sono cinque: quattro sul lavoro promossi dalla Cgil, sostanzialmente per abolire il jobs act, e uno sulla cittadinanza promosso da un comitato di cui fa parte Più Europa, per ridurre da 10 a 5 gli anni necessari ad ottenerla
I quesiti sono cinque: quattro sul lavoro promossi dalla Cgil, sostanzialmente per abolire il jobs act, e uno sulla cittadinanza promosso da un comitato di cui fa parte Più Europa, per ridurre da 10 a 5 gli anni necessari ad ottenerla. Il centrodestra è praticamente compatto: i partiti della maggioranza invitano a disertare le urne, tranne Noi Moderati che è per il «No».
Più barocca la cornice delle opposizioni: la linea ufficiale del Pd è cinque «Sì», ma l’ala riformista del partito ha detto che non voterà tre dei referendum sul lavoro. L’indicazione del M5s è per votare «Sì» ai quesiti sul lavoro e per lasciare libertà di scelta sulla cittadinanza, anche se il presidente Giuseppe Conte ha annunciato il suo «Sì» anche a quello. Cinque «Sì» senza dubbi o distinguo per Avs. Nel caso in cui venga raggiunto il quorum, è quasi scontato che i «Sì» avranno la meglio, visto che la stragrande maggioranza dei contrari preferirà starsene a casa. Ecco perché il focus delle campagne politiche è tutto sull’affluenza. Il superamento del 50% verrebbe letto come una «sfiducia» di fatto alle indicazioni della maggioranza. Ed è per questo anche che la battaglia dei promotori punta molto sulla polemica con la Rai - con tanto di azioni legali e interrogazioni - accusata di «oscurare» i referendum.
Un’altra fascia di commenti sul dopo partita sarà però concentrata sugli equilibri nel centrosinistra. Carlo Calenda, per esempio, ritiene che i referendum sul lavoro siano «un pezzo della campagna elettorale di Landini per diventare il leader del centrosinistra». Senza considerare i riflessi interni al Pd. La segretaria Elly Schlein si sta spendendo molto per i cinque quesiti, anche per rimarcare lo spostamento a sinistra dell’asse del partito: «Siamo tornati a essere il partito del lavoro, che sta tra i lavoratori - ha detto a Il Manifesto - davanti alle fabbriche, dove da tempo il Pd non stava più». Considerando che l’ala moderata del Pd ha annunciato che non seguirà la linea ufficiale, il risultato della consultazione peserà molto sugli equilibri fra le varie anime del partito.
Da quello istituzionale del 1946, per scegliere tra monarchia e repubblica, a quelli che hanno riguardato la scelta su aborto e divorzio: gli italiani sono stati chiamati a votare per un referendum 78 volte. In particolare, dal dopoguerra a oggi, sono stati 67 quelli abrogativi: ma il quorum è stato raggiunto in 39 occasioni, mentre in 28 non è stata superata la soglia
Da quello istituzionale del 1946, per scegliere tra monarchia e repubblica, a quelli che hanno riguardato la scelta su aborto e divorzio: gli italiani sono stati chiamati a votare per un referendum 78 volte. In particolare, dal dopoguerra a oggi, sono stati 67 quelli abrogativi: ma il quorum è stato raggiunto in 39 occasioni, mentre in 28 non è stata superata la soglia. Il primo referendum abrogativo fu quello sul divorzio, nel 1974: l’affluenza fu dell’87% e vinse il «No» all’abrogazione della legge. Fino al 1995, il quorum è sempre stato superato (tranne nel 1990, referendum sulla caccia). Negli ultimi 30 anni, invece, l’opposto: la soglia del 50% è stata toccata solo una volta. Negli anni l’istituto della democrazia diretta è stato utilizzato per i temi più disparati: dal nucleare alle sostanze stupefacenti, dalle interruzioni pubblicitarie all’ordinamento giudiziario. L’ultima tornata referendaria è del giugno 2022, in tema di giustizia. L’affluenza si è fermata al 20,9%.
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