L'Editoriale
Giovedì 29 Giugno 2023
Tra Mes e migranti il governo in difficoltà
ATTUALITÀ. Alla vigilia di un Consiglio europeo molto importante, Giorgia Meloni ha affrontato con impeto l’aula di Montecitorio su temi cruciali ad altissima tensione politica.
A cominciare dalla riforma del Mes, il rinnovato «Fondo salva Stati» che l’Italia, unica nell’Ue, non ha ancora ratificato. Secondo la presidente del Consiglio non è nell’interesse nazionale aizzare una polemica su questo argomento (sul cui voto l’aula nelle prossime ore rinvierà tutto a settembre) per la ragione che esso va affrontato «a pacchetto». Cosa significa? Che è in discussione il nuovo Trattato di stabilità da cui discenderanno le future regole per l’abbassamento del debito pubblico e noi, che siamo tra i Paesi più indebitati, cerchiamo di ottenere da Bruxelles (e dai cosiddetti Paesi frugali alleati della Germania) delle flessibilità che però hanno scarse possibilità di essere concesse. E dunque tatticamente, il governo di Roma sta proponendo uno scambio: ratifico il Mes se sul Trattato di stabilità sarete meno rigidi. Funzionerà? È noto lo scetticismo del ministro dell’Economia Giorgetti il quale, avendo già provato a giocare questa partita con i suoi colleghi finanziari, si è scontrato contro un muro e non ha trovato alcuna vera solidarietà.
Ma Meloni evidentemente è convinta di riuscire a spuntarla trattando ad un livello più alto. Peraltro la «polemica interna» cui si è riferita nel suo discorso in aula sembrava più che altro riferita a Salvini che nella coalizione è quello che usa il «no» al Mes come strumento di propaganda politica, un po’ come fanno i 5 Stelle tra le opposizioni. Il punto vero è che la pressione dell’Europa sul punto è sempre più forte, che a Bruxelles non vogliono confondere Mes e Trattato di stabilità, che la stessa polemica ingaggiata contro la politica della Bce sui tassi di interesse («La cura può rivelarsi peggiore del male» ha detto ieri Meloni a Montecitorio) non facilita il compromesso che si va cercando.
Il Pd è convinto che per il governo la partita si risolverà in un disastro, con noi che da una parte dobbiamo accettare obtorto collo di apporre la firma sul salva Stati e dall’altra che i tedeschi, gli olandesi e i finlandesi ci imporranno nuove regole draconiane sul debito. Certo, se Meloni oggi potesse vantare l’appoggio di un grande Paese sarebbe sicuramente più facile la sua posizione, ma così non è, e qui certamente si intrecciano i giochi in vista delle elezioni europee del prossimo anno e della lotta sotterranea in corso per la nuova Commissione post-von der Leyen.
Altro argomento delicatissimo, la questione dei migranti. Meloni ha rivendicato la sua politica di attenzione nei confronti dei Paesi del Nord Africa e in particolare della Tunisia: «Stiamo cercando di evitare che quel Paese, nostro dirimpettaio, fallisca con evidenti conseguenze non solo sui cittadini tunisini ma anche sui flussi di immigrazione illegale». La sinistra rimprovera al governo di promettere soldi ad un governo di Tunisi sordo ai diritti umani e di andare a braccetto con il dittatore Saied, accusa che Meloni rivolta «contro chi andava a braccetto con le dittature comuniste di ieri e di oggi». Ma questa è polemica politica spicciola. La vera difficoltà sta proprio nel trovare un accordo in Europa sui fondi da devolvere alla Tunisia: molti Stati chiedono precisi impegni sui diritti umani (ma perché non furono chiesti a Erdogan quando, auspice Angela Merkel, gli furono dati tre miliardi di euro per trattenere i migranti siriani?).
L’Italia cerca uno spazio nell’area mediterranea attraverso questa politica di contenimento delle migrazioni illegali che però prevede una solidarietà europea che, ahinoi, ancora manca. Mentre a Bruxelles si discute, gli sbarchi in Italia sono arrivati a quota 60mila (contro i 26mila dell’anno scorso) e resta imprecisato il numero delle vittime in mare.
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