Addio a Pino Candiani, una vita nelle Acli al servizio degli altri

IL LUTTO. Giuseppe – per tutti Pino – Candiani, 95 anni, dal 2002 presidente onorario delle Acli bergamasche, è morto mercoledì mattina all’hospice di Vertova dove era ricoverato da alcune settimane. venerdì i funerali a Loreto.

Al momento, con lui c’era il figlio minore, Giovanni, subito accorsa anche la moglie Dolores Lavezzari e gli altri figli Chiara, Luigi e Annalisa.

Fino all’ultimo giorno lucido e attivo, Candiani accoglieva tutti con un sorriso: «Che bello, vengono tutti i miei amici. Grazie, sono in pace» e conversava del presente e del futuro, dei giovani e di quello che andrebbe fatto per far vivere meglio insieme le persone. Curioso e appassionato, non ha mai smesso di aggiornarsi e imparare e fino al giugno scorso è stato volontario di Scuola Amica della parrocchia di Loreto.

Chi era Pino Candiani

Nato a Milano a Porta Ticinese il 27 maggio 1930, aveva alle spalle un’infanzia di guerra («capisco benissimo cosa provano quelli che sono oggi sotto le bombe»), con la casa distrutta, lo sfollamento, la scuola a chilometri, il lavoro a quattordici anni, le scuole serali di disegnatore e poi tecnico. Si laureerà in Sociologia passati i quarant’anni, continuando a lavorare in Sace, dove approda nel 1961, appena sposato.

Formato dai salesiani, nel dopoguerra si iscrive a Milano alle Acli appena fondate e all’associazione dei lavoratori cristiani resta sempre legato, operando in ruoli strategici con una visione concreta e coraggiosa. In azienda è anche sindacalista della Fim Cisl e poi della Flm («Quando l’unità dei metalmeccanici fu rotta, in azienda piangevamo tutti» ricorderà ) capace di analizzare il problema e offrire soluzioni.

Nelle Acli si dedicò soprattutto ai servizi e alla formazione professionale, diventando presidente provinciale del Patronato Acli e, per un decennio dalla metà degli anni ‘80, in anni difficili, vicepresidente delegato di Enaip Lombardia. In tale ruolo supportò tra l’altro la creazione de La Cascina di Almè e di Lavorare insieme, progetto allora molto innovativo per l’occupazione dei disabili.

Di fede profonda e mai sbandierata, era mite, competente, tenacissimo, con la determinazione tranquilla di chi conosce il valore dei progetti nei quali crede. Centrale per lui il senso della famiglia e della comunità. L’articolo dettato agli amici negli ultimi giorni è il suo lascito: «La comunità è costruzione di buone relazioni, è accorgersi e riconoscere il valore dei problemi degli altri, è fatta di gesti concreti e di presenze».

I familiari ricordano che alla tavola delle feste diceva con soddisfazione «le cose migliori Gesù le ha fatte a tavola» intendendo il valore della dimensione umana che poi muove le cose. Le ultime parole per i figli e i cinque amatissimi nipoti sono state: «Ho avuto una vita piena, ricordate che è questo che conta».

La salma è composta alla Fondazione Gusmini di Vertova. Dalle 10 di venerdì sarà nella parrocchiale di Loreto, dove alle 14.30 sarà celebrato il funerale.

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