
Cronaca / Bergamo Città
Mercoledì 22 Ottobre 2025
Affitti brevi, in provincia di Bergamo stangata su 2mila immobili. «Incentivare i contratti tradizionali»
TURISMO. Nella bozza della Legge di bilancio l’innalzamento dell’aliquota dal 21% al 26%: in media pesa 1.300 euro. I proprietari: «Per favorire la residenzialità non basta la leva fiscale, servono sgravi sulle locazioni più lunghe».

Alla luce delle tensioni affiorate nella maggioranza di governo sul tema (con Forza Italia fermamente contraria) il decorso della proposta non pare così in discesa. Però al momento è messa nero su bianco sulla bozza della legge di bilancio che dovrà iniziare l’iter parlamentare, e dunque da lì si parte. L’aumento della cedolare secca (il regime fiscale) per gli immobili dati in affitto breve turistico rinfocola il dibattito su questa nuova (redditizia) economia: in Bergamasca potrebbero essere fino a duemila le abitazioni interessate dal provvedimento, qualora andasse davvero in porto.
Secondo Aigab, l’associazione che rappresenta oltre 800 operatori del settore, su un’abitazione media l’aumento al 26% costerebbe circa 1.300 euro a famiglia
Dal 21% al 26%
Sul tavolo c’è la possibilità di alzare al 26%, contro l’attuale 21%, la tassazione già dal primo immobile dato in locazione con questa finalità: attualmente l’aliquota è già al 26% dal secondo alloggio affittato in poi, la nuova norma andrebbe a uniformare l’imposizione. Sullo sfondo c’è un business decisamente ricco: secondo la Banca dati delle strutture ricettive del ministero del Turismo, in provincia di Bergamo sono 2.839 gli «alloggi privati in affitto in forma non imprenditoriale», appunto quegli appartamenti tipicamente pubblicizzati su piattaforme come Airbnb (ma anche Booking), di cui 876 in città. A questi si aggiungono alcuni bed and breakfast più tradizionali che rispondono però alla forma non imprenditoriale, portando complessivamente a circa tremila gli immobili legati agli affitti brevi. Attenzione, però: l’incremento della cedolare secca avverrebbe solo per una parte di questo patrimonio immobiliare, perché una buona fetta è già sottoposta al regime del 26%.
I numeri
Perché? Lo suggeriscono i dati locali di InsideAirbnb.com, piattaforma indipendente che estrae automaticamente le informazioni legate agli annunci condivisi su Airbnb: stando a questa analisi, solo il 39% degli «host» (i proprietari) di alloggi pubblicizzati sul principale portale di settore è titolare di un singolo appartamento; per tutti loro la tassazione passerebbe dal 21% al 26%. Il 61% di host che possiede più alloggi, invece, vedrebbe aumentare l’aliquota solo su un’abitazione del proprio «bouquet», mentre tutti gli altri sono già oggi soggetti al 26%. Quindi, mettendo a sistema le diverse voci – cioè le circa 1.200 persone che affittano un solo appartamento, più il primo appartamento affittato da coloro che ne hanno più di uno sul mercato – si arriva a stimare una forchetta di 1.500-2.000 immobili, perché appunto gli altri pagano già il 26%.
I proprietari
Secondo Aigab, l’associazione che rappresenta oltre 800 operatori del settore, su un’abitazione media l’aumento al 26% costerebbe circa 1.300 euro a famiglia. Di certo c’è che chi ha una seconda casa (o una terza, una quarta...) vede in questa tipologia di affitto un rendimento ormai più sicuro e generoso rispetto ai canoni di lunga durata: più margini, meno rischi. Non è un caso che il proliferare di affitti brevi stia andando a «cozzare» con la residenzialità classica. Così, dopo l’annuncio dei rincari, i piccoli proprietari hanno già espresso disappunto: «Siamo contrari all’aumento – conferma l’avvocato Sergio Suardi, segretario della sezione bergamasca dell’Uppi, l’Unione piccoli proprietari immobiliari -, perché si sta cercando di trovare una soluzione a un problema solo attraverso l’inasprimento della leva fiscale. È ovvio, e ne siamo consapevoli, che gli affitti brevi stiano andando a ridurre il numero di affitti lunghi. Bisognerebbe però trovare una via di mezzo che accontenti sia i proprietari sia gli inquilini». Come? «Ad esempio – propone Suardi – trovando soluzioni differenti che incentivino i canoni concordati, oppure andando a introdurre agevolazioni più consistenti per i classici contratti 4+4».
Le associazioni di categoria
Il giro d’affari racconta in realtà di un «pezzo» di economia che fa una concorrenza sempre più agguerrita alla ricettività tradizionale. «Il nostro principio è sempre questo: se si compete sullo stesso mercato servono le stesse regole. Non è un accanimento, ma la richiesta di concorrenza leale», riflette Alessandro Capozzi, presidente di Federalberghi Bergamo, associazione che a livello nazionale ha espresso una valutazione positiva a questo provvedimento. «Per un albergo l’imposizione fiscale complessiva è già più alta del 26% – aggiunge Capozzi -, e va considerato anche il valore aggiunto legato all’impatto sull’occupazione. C’è poi un aspetto più sociale: a fronte di una mancanza di case per i giovani e le coppie, sarebbero utili delle agevolazioni per chi affitta con il regime del 4+4 (la locazione di lunga durata, ndr), più che per gli affitti brevi».
«Il turismo è una grandissima economia, noi spingiamo perché questo settore si professionalizzi»
Cesare Rossi, vicedirettore di Confesercenti Bergamo, associazione che ha una sigla specifica per la «ricettività diffusa» (l’Aigo Confesercenti), parte da un dato di fatto: «Oggi già una parte importante degli affitti brevi versa il 26%, la nuova normativa inciderebbe su una minoranza. Guardo alla vicenda in maniera razionale: non mi dico favorevole al rialzo, ma né apertamente contrario. La questione di fondo è un’altra: il turismo è una grandissima economia, noi spingiamo perché questo settore si professionalizzi». In altri termini, un cambio di prospettiva dalla seconda casa messa su Airbnb per arrotondare a una vocazione più imprenditoriale: «Questo permetterebbe sia di combattere l’abusivismo, come già avvenuto con il Cir e il Cin (il codice identificativo prima regionale poi nazionale, ndr) sia di rafforzare questa economia».
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