Allarme gioco: dipendenza per 28mila

LA PIAGA INVISIBILE . Il report di Ats e Università Milano Bicocca sui comportamenti a rischio dei lavoratori. Contro fumo e alcol si è fatto tanto, per scommesse e videolottery invece si interviene ancora molto poco.

La dipendenza da gioco d’azzardo è uno dei mali silenziosi delle aziende bergamasche. Poco riconosciuta fra i problemi dei lavoratori e delle lavoratrici, il suo impatto è molto spesso sottostimato e nessuna pratica viene messa in atto per aiutare chi ne è colpito. I problemi per la sicurezza sul luogo di lavoro e la redditività aziendale però esistono, come conferma Luca Biffi, responsabile della Struttura semplice prevenzione delle dipendenze del dipartimento di Igiene e prevenzione sanitaria di Ats Bergamo: «Una persona che ha un disturbo da gioco d’azzardo ha una dipendenza e come tutti i soggetti con dipendenza è assorbito da quella questione che gli provoca ansia, agitazione e aggressività».

Il fenomeno non è parziale, come sottolinea Marinella Valoti, responsabile e psicologa della medesima Struttura: «Sul territorio di Bergamo sono 500 le persone prese in carico, ma stimiamo che siano almeno 28mila quelle affette da questo disturbo». A rimarcare la grandezza del fenomeno anche i dati dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, che quantificano in 136 miliardi di euro il volume di denaro giocato in Italia nel 2022, suddiviso fra i 63 miliardi di euro su rete fisica e i 73 miliardi giocati on line.

Disturbi da gioco d’azzardo: 500 le persone prese in carico dai servizi

Eppure, se un lavoratore si accorge che un collega gioca d’azzardo durante l’orario di lavoro «nel 50% dei casi non farà assolutamente niente, perché è un comportamento che associa all’acquisto di un prodotto on line o a un momento di controllo dei social del proprio telefono». Ad affermarlo è la professoressa Veronica Velasco, docente di Psicologia del lavoro e delle Organizzazioni presso l’Università Milano Bicocca, che ieri ha presentato nella sede di Confindustria Bergamo i risultati di una ricerca sul tema condotta con le colleghe Valentina Biscaldi e Michela Ghelfi, sostenuta da Ats Bergamo all’interno del programma Whp.

Nato nel 2012, «Luoghi di lavoro che promuovono salute-Rete Whp Lombardia» è un impegno volontario di aziende che scelgono di promuovere il benessere fisico e mentale fra i propri dipendenti, aderendo ad alcune linee guida specifiche e mettendo in pratica delle buone azioni in materia di alimentazione, promozione dell’attività fisica, conciliazione vita-lavoro, benessere organizzativo e salute mentale. In Bergamasca sono 110 le aziende aderenti e lo studio, condotto intervistando 136 addetti alla salute, ha interessato «realtà aziendali aderenti e non aderenti, medie e grandi, dotate di filiali sul territorio nazionale o all’estero con dipendenti prevalentemente di sesso maschile, di età superiore a trent’anni e diplomati, che vivono una condizione di lavoro regolare e stabile».

Il disturbo da gioco d’azzardo è un problema anche per le aziende

In occasione dell’annuale convegno di presentazione delle nuove attività programmate da Ats per le aziende aderenti al programma, i responsabili del progetto hanno scelto di portare al centro dell’attenzione dei referenti aziendali proprio questo problema silente e molto spesso sottovalutato: la dipendenza da gioco d’azzardo. Se molto è stato fatto nei luoghi di lavoro in materia di lotta contro il fumo o in merito al riconoscimento e prevenzione dell’abuso di alcol, su questa dipendenza gli interventi sono ancora insufficienti, poiché si tratta di comportamenti largamente tollerati. Lo studio di Bicocca, infatti, sottolinea come rispetto al bere alcolici o fumare cannabis, scommettere denaro, giocare on line o alle slot machine sia un comportamento che più della metà delle volte non prevede nessuna azione di richiamo, ammonimento o sospensione e non porta praticamente mai al licenziamento.

«Sappiamo che non è semplice gestire un caso, sia esso manifesto o semplicemente sospetto, per questo consigliamo innanzitutto di dotarsi di policy di intervento che suggeriscano come agire e tutelino la persona che interviene, – spiega la dottoressa Valoti, che conclude –: formazione per dirigenti e figure di sistema, unitamente a una formazione sul counseling relazionale e a momenti più laboratoriali di role playing sono ciò che proponiamo alle aziende per affrontare questi casi».

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