«Bullismo, iperconnessi si rischia. Dopo cena via i cellulari»

LA PSICOTERAPEUTA. Il monito ai genitori: così il bullismo entra nelle case. «Oggi per escludere un ragazzo basta un clic, non ci si mette più la faccia».

«Dopo una certa ora, quando i figli vanno a letto, è bene che non abbiano più a disposizione lo smartphone: perché altrimenti restano svegli fino alle 3 o alle 4. Questo è purtroppo un fenomeno estremamente diffuso: i genitori, anche con il supporto delle scuole in modo che non siano soli in questo, devono poter intervenire con i loro figli ed evitare che questo accada, perché il cyberbullismo non ha ora e lo abbiamo visto soprattutto durante la pandemia». Focalizza il suo pensiero sui rischi della cosiddetta «iperconnettività» Sabina Albonetti, psicologa e psicoterapeuta bergamasca di indirizzo psicoanalitico, specialista in Psicologia e dottore di ricerca in Psichiatria. Da anni si occupa di adolescenti e in particolare proprio di bullismo e cyberbullismo, sia nella pratica professionale, sia come perito per il tribunale di Milano, oltre che in progetti di prevenzione e sensibilizzazione organizzati fin dal 2009 a livello provinciale con il Club Soroptimist di Treviglio, l’ultimo in collaborazione con l’Istituto italiano psicoanalisti di gruppo e con l’istituto Zenale e Butinone di Treviglio quale scuola capofila.

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«Il bullismo è un insieme di atti di prevaricazione che possono essere verbali o fisici, ai danni di una vittima che si trova in condizione di fragilità – spiega Albonetti –. Atti che abbiano carattere intenzionale e ripetitivo e una intensità diversa dalle normali scaramucce tra adolescenti». Tutto questo nella rete diventa il cyberbullismo. «La cui caratteristica – prosegue la psicoanalista – è quella di utilizzare per questi atti di prevaricazione il mezzo informatico: la tecnologia e il web. Questo cambia la natura dell’atto stesso, perché l’intenzionalità che nel bullismo si riscontra nella forza del gruppo può essere non così intensa come negli atti concreti, eppure diventarlo lo stesso perché la tecnologia, in quanto tale, sa dare quella caratteristica di ripetitività che il soggetto non voleva.

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Dunque è bene lanciare un messaggio a genitori e ragazzi: quando si pubblicano informazioni lesive per gli altri non è mai possibile sapere a priori come esse possono essere poi condivise o trasformate nel web. Sono delle valanghe che possono nascere piccole ma diventare devastanti sia per la vittima, sia per chi ha originato queste informazioni lesive». Inoltre, sul web le variabili di spazio e tempo sono completamente alterate: «Quando c’era solo il bullismo a scuola, la vittima tornava a casa e si trovava in un ambiente diverso e confortante. Adesso, invece, di fatto il bullismo non finisce mai perché i giovani sono sempre connessi. Anche a casa, in un tempo e in uno spazio diverso, è sufficiente che possa accedere ai social perché le molestie, le ingiurie e le immagini lesive tornino a tormentarlo. E purtroppo i ragazzi sono sempre più collegati nelle ore notturne e i genitori hanno sempre più difficoltà a far comprendere ai figli quanto sia importante stare disconnessi almeno la notte».

«Quando c’era solo il bullismo a scuola, la vittima tornava a casa e si trovava in un ambiente diverso e confortante. Adesso, invece, di fatto il bullismo non finisce mai perché i giovani sono sempre connessi. Anche a casa, in un tempo e in uno spazio diverso, è sufficiente che possa accedere ai social perché le molestie, le ingiurie e le immagini lesive tornino a tormentarlo».

Con conseguenze anche pesanti: «Oggi tanti ragazzi soffrono di insonnia perché continuano a chattare e stare connessi anche fino a notte fonda – prosegue la psicoterapeuta –. Inoltre, uno degli aspetti più importanti del bullismo, è l’esclusione e anche questo nel cyberbullismo viene esasperato. Nelle vecchie compagnie di amici, quando ci si trovava al parchetto, c’era magari l’elemento marginale e il fatto che qualcuno dovesse mandarlo fisicamente via richiedeva un’esposizione e uno sforzo reale. Oggi tra gli adolescenti, soprattutto nel periodo pandemico e del quale stiamo ancora pagando le conseguenze, è purtroppo ancora più facile arrivare all’esclusione: è sufficiente premere un tasto per sparire da una chat. Esistono, per esempio, le chat segrete, con gli stessi componenti meno quello che si vuole coinvolgere. A un certo punto la vittima si rende conto che nessuno scrive più, ma perché è stata esclusa. Questo durante la pandemia si è registrato anche nelle videochiamate di gruppo in Instagram e sui social».

L’età di vittime e bulli è sempre più precoce: «Dalla quinta elementare iniziamo a vedere i primi problemi, ma le punte del fenomeno arrivano, al di là di quello che si pensi, alle medie, mentre alle superiori tendono a diminuire, a parte magari quei casi estremamente gravi che possono finire all’attenzione dell’autorità giudiziaria – sottolinea ancora Sabina Albonetti –. I ragazzi ormai molto raramente si confidano con il mondo degli adulti, con gli insegnanti e i genitori: questo perché, per usare il loro linguaggio, non vogliono apparire “sottoni”, ovvero vogliono pensare di aver raggiunto una certa autonomia per l’età. E poi per la sfiducia che oggi i ragazzi hanno nella risposta sociale ai problemi rispetto a quanto avveniva un tempo. Oggi di punti di aggregazione sociale ce ne sono ancora, ma per un ragazzo è sempre più difficile trovare il senso di appartenenza come avveniva un tempo: in questo individualismo spinto, alla fine, ognuno può fare conto solo sulle proprie capacità. Così la vittima predestinata diventa chi ha meno capacità ad adeguarsi ai modelli competitivi. Che non è detto, però, siano i miglior. Anzi».

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