Commercio di vicinato affossato dal caro-energia, spariti altri 67 negozi

OSSERVATORIO REGIONALE. Questo il dato dell’ultimo anno in provincia (-0,7%). In un decennio crollo del 15%. Boom delle medie strutture: 2,1% in più dal 2014. L’approfondimento di due pagine su L’Eco di Bergamo in edicola lunedì 16 ottobre.

C’è stato un momento, appena scollinato il momento più aspro della pandemia, in cui il vento sembrava cambiato. Nuove botteghe che aprivano, vetrine che spuntavano, una rinnovata fiducia. Numeri non altissimi, sia chiaro, ma il commercio di vicinato pareva poter invertire la rotta, anche grazie al coraggio di chi si reinventava imprenditore avviando un negozio prêt-à-porter. Quella fiducia s’è spenta sotto la bolla inflazionistica ed energetica: il commercio di vicinato resta in sofferenza, consegnando un’emorragia sul medio periodo. In Bergamasca gli esercizi commerciali di prossimità si sono ridotti del 15% nel giro di un decennio, e allo stesso tempo hanno sofferto pure le grandi superfici di vendita (-8,9% sul decennio): la «transizione commerciale» sembra quella verso le medie superfici di vendita.

I dati dell’Osservatorio

I nuovi dati dell’Osservatorio regionale sul commercio – la mappa di Regione Lombardia aggiornata al 30 giugno 2023 – tratteggia queste tendenze. La fotografia attuale racconta infatti di 10.237 esercizi di vicinato in provincia di Bergamo: in un anno sono calati di 67 unità (erano 10.304, -0,7%), rispetto alla situazione pre-Covid del 2019 ci sono 327 insegne in meno (erano 10.564, -3,1%), nell’arco di un decennio se ne sono perse 1.802 (erano 12.039, -15%). Sempre guardando alla numerosità dei punti vendita, dopo il boom d’inizio millennio ora si sono stabilizzate (con una tenue tendenza di arretramento) anche le grandi superfici di vendita, cioè gli ipermercati o – nel comparto non alimentare – i grandi store dedicati ad abbigliamento, tecnologia, casalinghi, altri prodotti: dalle 45 strutture del 2014 si è calati alle attuali 41, in una sorta di lievissimo saliscendi tra pre e post-pandemia.

A tenere è invece la dimensione commerciale che sta nel mezzo, le medie superfici (tecnicamente, gli esercizi come una superficie tra i 150 e 1.500 mq nei Comuni fino a 10mila abitanti, o tra i 250-2.500 mq nei Comuni oltre i 10mila abitanti): crescono del 2,1% nella parabola decennale, e dell’1% solo nell’ultimo anno.

«Vicinato, effetto caro-energia»

Di «2022 annus horribilis» per il commercio di vicinato parla Oscar Fusini, direttore di Ascom Bergamo: «Di fatto ha segnato un numero di chiusure superiore al 2020, l’anno del Covid – ragiona Fusini –: ha pesato molto il caro-energia, e anche il 2023 purtroppo non sarà un anno positivo, perché incide il calo strutturale dei consumi. Se il periodo del Covid ha in qualche modo riavvicinato le persone al negozio di vicinato, ora le nuove abitudini di spesa mettono in difficoltà questo format». Per Filippo Caselli, direttore di Confesercenti Bergamo, «le ragioni sono molteplici: c’è una competizione molto più ampia sui canali distributivi, a partire dall’e-commerce, e in tutto ciò le scelte urbanistiche dei Comuni non aiutano, perché favoriscono altre tipologie di attività commerciali. Ma, più in generale, c’è una contrazione dei consumi che riguarda soprattutto i beni durevoli».

L’alimentare: discount-boom

Il comparto alimentare, in sostanza, regge meglio. Se dal numero secco dei punti vendita si passa all’analisi della superficie dei negozi alimentari, ecco che la fotografia mostra dei chiaroscuri diversi. La densità di questi esercizi di vicinato è arretrata significativamente nell’ultimo anno (-8% di superficie in questo format), ma è comunque al +0,7% rispetto al pre-Covid. Tengono anche gli ipermercati, ma il vero boom è appunto quello delle medie superfici di vendita: qui il comparto alimentare è cresciuto del 3,5% nell’ultimo anno, dell’11,4% rispetto al pre-Covid e del 27% su base decennale. È il proliferare di quelle catene appunto di medie dimensioni, più grandi del negozio sotto casa ma non così dispersive come gli ipermercati. «Le medie strutture sono un format sempre più di successo, lo vediamo tutti i giorni – rileva Caselli –. Sono favorite dalle autorizzazioni rilasciate dai Comuni. Può essere da una parte un’opportunità in termini di valore economico e sociale, ma anche un problema: diventano una criticità quando questi punti vendita sorgono uno accanto all’altro dando origine a veri e propri parchi commerciali, deviando il flusso commerciale dai centri delle città. A livello urbanistico servirebbe un coordinamento sovracomunale».

La moltiplicazione dei market di media dimensione si lega – sul versante dei discount – anche all’impatto dell’inflazione: «È in atto una competizione furiosa non solo tra le singole insegne, ma anche tra le grandi e le medie strutture – nota Fusini –. E nelle medie strutture, la competizione è agguerrita tra retailer tradizionali e hard discount. Qui incide anche la difficile fase economica: con un potere d’acquisto che si riduce, la soglia di spesa della famiglia si abbassa e dunque questa clientela si muove sempre più verso gli hard discount».

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