Comunità terapeutiche, mancano posti. Solo a Bergamo 500 persone molto fragili

VULNERABILI. La stima è del Comune. L’assessore Messina: «Urge ripensare il modello di intervento. Spesso l’ingresso in struttura è rifiutato: servono approcci più flessibili. E le risorse non bastano».

Ogni prospettiva restituisce una situazione delicata e complessa. C’è chi «abita» la strada e sceglie di non farsi aiutare, e c’è chi invece in una comunità – per le dipendenze o per la salute mentale – vorrebbe entrarci, così da iniziare un percorso di «ripartenza», ma non trova accoglienza. «Il crescente bisogno di posti nelle comunità terapeutiche in Lombardia, unito ai cambiamenti nel profilo delle persone che vi fanno riferimento, richiede un urgente ripensamento del modello di intervento», sintetizza Marcella Messina, assessore alle Politiche sociali del Comune di Bergamo.

Sono 500 solo a Bergamo

In città, secondo le stime di Palazzo Frizzoni, sono circa 500 le persone ritenute «molto vulnerabili», e cioè con un presente o un passato segnato da problemi psichiatrici o di dipendenze e/o che si trovano in situazioni di «bassa soglia», come i senza fissa dimora. Soprattutto, e tale sensazione affiora anche leggendo la biografia di Dadrah Manjinder, il clochard trovato morto martedì in via Locatelli, colpisce come «sempre più persone con queste problematiche vivono in strada, spesso rifiutando l’ingresso nelle strutture o tornando ripetutamente dopo esperienze già vissute – riflette Messina –. Questo fenomeno segnala che le modalità tradizionali di cura non riescono più a rispondere efficacemente a un target complesso e diversificato». Come fare, quindi?

«Approcci più flessibili»

Secondo Messina «è necessario sviluppare approcci più flessibili, centrati sulla persona, che valorizzino il coinvolgimento attivo del singolo e la continuità dell’accompagnamento anche fuori dalla struttura». Dei modelli innovativi, insomma, che integrino più modalità: dalle unità mobili di strada a progetti personalizzati, anche attraverso spazi di incontro meno formali come camper o drop-in. Ma restano due «nodi cruciali», secondo Messina: la «revisione delle rette», cioè dei contributi che la Regione riconosce alle comunità, e il superamento delle difficoltà nel «reclutamento del personale».

Domanda e risposta

Giocoforza, il capoluogo fa da catalizzatore di un bacino più ampio, che abbraccia l’intera provincia e spesso ne valica persino i confini. Stando ai dati ufficiali aggiornati a fine 2024, in Bergamasca si contano 13 strutture dedicate ai servizi residenziali per le dipendenze, per un totale di 289 posti, e altre due unità semiresidenziali con 38 posti, oltre ai servizi più ambulatoriali legati ai SerD (i sei servizi per le dipendenze delle Asst) e agli Smi (i servizi per le dipendenze del privato accreditato, tre in tutta la Bergamasca).

Quanto alla salute mentale, le comunità protette e quelle riabilitative – articolate su diversi livelli di assistenza – sono in tutto 30, con 435 posti. Oltre alla marginalità, c’è un esteso bacino d’utenza trasversale all’estrazione sociale che amplifica i numeri della domanda, calcolando che gli utenti seguiti in Bergamasca dal sistema sanitario per questi problemi sono diverse migliaia.

«Lunghe liste d’attesa»

Soprattutto per l’area delle dipendenze, «ci sono lunghe liste d’attesa perché i posti non bastano rispetto ai bisogni – osserva Fabio Loda, coordinatore di Federsolidarietà Bergamo, il ramo di Confcooperative che segue da vicino queste realtà –. È un doppio canale di entrata: c’è chi viene indirizzato dai Serd e dagli Smi, e chi arriva dal mondo della giustizia con richieste di affidamento in prova o di misure alternative». Le criticità non mancano: «Quello che vediamo – prosegue Loda – è un aggravarsi delle condizioni psicofisiche: da un lato c’è un forte aumento dei giovani, dall’altro delle situazioni croniche che oggi vedono una compromissione a livello sanitario». Al contempo, «c’è carenza di personale ma soprattutto un forte turnover, che implica un grande investimento sulla formazione».

«Costi elevati»

È il rimando a una questione dirimente: quella economica. «I costi sono elevati – riconosce Loda –. In estate la Regione ha deliberato un adeguamento dei contributi per far fronte agli aumenti legati ai rinnovi contrattuali, in particolare per le strutture sociosanitarie e quindi anche le comunità per le dipendenze, mentre le strutture per la salute mentale non sono state incluse negli ultimi tre-quattro aumenti».

Proprio a luglio, la Regione – come ricordato nelle «regole di sistema», il documento di programmazione sociosanitaria aggiornato in estate – si è impegnata a stanziare fino a 31,5 milioni di euro aggiuntivi per le unità di offerta sociosanitarie lombarde, comprese le comunità terapeutiche per la dipendenza. Ma la sensazione tra gli addetti ai lavori è che non siano ancora sufficienti per far fronte agli aumenti dei costi sostenuti negli ultimi anni.

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