Covid, nella Bergamasca i contagi hanno bruciato 100mila giorni di lavoro

La stima I dati Inail parlano di 4mila denunce di infortunio legate al virus con un’assenza media di 27 giorni. Indennizzato il 95% delle pratiche.

Due anni e mezzo di pandemia hanno disegnato uno scenario senza precedenti. Il costo umano – il tributo di vite che Bergamo ha pagato più di ogni altra area del Paese – resta incalcolabile. C’è poi anche un costo sociale ed economico, meno aspro ma certo concreto, e che in qualche modo si può quantificare in alcune sue sfaccettature. Ne esce una cifra decisamente alta: in Bergamasca, i contagi da Covid contratti sui luoghi di lavoro si sono tradotti in oltre 100mila giornate lavorative perse. È una stima possibile incrociando alcuni dati che l’Inail diffonde mese dopo mese.

Denunciati 4 mila infortuni sul lavoro

Dall’inizio della pandemia, infatti, in Bergamasca sono stati denunciati quasi 4mila infortuni sul lavoro da Covid, cioè infezioni la cui origine è ritenuta riconducibile all’ambiente lavorativo. L’ultimo report dell’Inail, aggiornato al 30 aprile 2022, censiva 3.813 denunce presentate in provincia di Bergamo: se si stimano poi quelle pervenute tra maggio – il report di quel mese è in elaborazione e uscirà a breve – e giugno, e in particolare con il recentissimo rialzo dei contagi di queste ultime settimane, è appunto facile immaginare che il volume totale delle denunce abbia raggiunto ormai quota 4mila. Denunce che vanno moltiplicate per un numero: mediamente, come segnalato nell’ultimo report dell’Inail, i lavoratori che hanno aperto una pratica per infortunio da Covid sono rimasti assenti dal lavoro per 27 giorni. Così, la stima bergamasca è presto tracciata: a causa del virus si sono perse complessivamente 108mila giornate di lavoro.

Con una precisazione, e cioè che il calcolo si basa solo su quei lavoratori che hanno denunciato un infortunio da Covid (tendenzialmente sono persone che hanno avuto una forma grave della malattia), e non comprende i lavoratori rimasti comunque a casa perché positivi ma senza aprire una pratica di infortunio (perché appunto il contagio non era maturato in azienda). Quest’ultimo resta un altro fronte importantissimo numericamente. Per esempio, se si guarda ai dati lombardi dell’Inps (non sono disponibili quelli provinciali), emerge come solo nel quarto trimestre del 2021 in tutta la regione si siano contate 8,3 milioni di giornate di malattia (cioè di assenze dal lavoro), mentre nello stesso periodo del 2019 – in epoca pre-Covid – le giornate di malattia erano state quasi 5,4 milioni. In pratica, ancora nel quarto trimestre del 2021 – l’ultimo dato disponibile, ma indicativo comunque dell’ondata dello scorso autunno-inizio inverno – le assenze dal lavoro per malattia erano state del 54% superiori rispetto allo stesso periodo pre-pandemico. Anche questo è verosimilmente un effetto del Covid, per via del numero di lavoratori costretti a casa perché in isolamento o quarantena.

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L’identikit del contagio

Tra l’altro l’Inail ha dato una risposta generalmente importante e tempestiva sul tema delle denunce per infortunio da Covid. Allo scorso 30 aprile 2022, spiegava l’Istituto, il 76% di tutte le denunce pervenute dall’inizio della pandemia è stato riconosciuto positivamente, generando nella stragrande maggioranza dei casi (95%) un indennizzo. Per i casi mortali, invece, la percentuale di riconoscimento si attesta provvisoriamente al 63%. Gli indennizzi sono quasi interamente costituiti da inabilità temporanee (99%), con il restante 1% suddiviso tra menomazioni permanenti (circa lo 0,7%) e rendite a superstiti per casi mortali (inferiori allo 0,3%). In Bergamasca finora si sono contati anche 55 infortuni da Covid con esito mortale, praticamente tutti concentrati tra la prima (la gran parte) e la seconda ondata.

I lavoratori più toccati dal virus

Ma chi sono, in Bergamasca, i lavoratori più toccati dal virus che circola nelle aziende? Tornando agli ultimi dati consolidati, quelli che riassumono le denunce tra l’inizio della pandemia e la fine di aprile 2022, emerge chiaramente come il virus abbia colpito prevalentemente le lavoratrici: su 3.813 denunce, ben 2.738 (il 71,8%) sono state presentate da donne; 1.075 (il 28,2%) quelle presentate invece da uomini. Guardando invece all’età di chi ha aperto la pratica dell’infortunio, 606 denunce (il 15,9%) sono state presentate da lavoratori fino ai 34 anni, 1.341 (35,2%) da lavoratori tra i 35 e i 49 anni, 1.788 (46,9%) da lavoratori tra i 50 e i 64 anni, 78 (2%) da lavoratori oltre i 64 anni.

In Lombardia il 70,2% delle denunce per infortunio da Covid ha riguardato lavoratori del comparto della sanità e dell’assistenza sociale: infermieri, medici, oss. Poi, altri settori dell’economia: il 5,2% delle denunce è stato registrato nella manifattura, il 4,6% nella logistica (trasporti e magazzinaggio), il 4,2% nei servizi alle imprese (addetti alle pulizie, impiegati), il 2,2% nei servizi di alloggio e ristorazione; via via, con quote inferiori, scorre tutto il resto del mondo economico-lavorativo.

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