«Francesca morì in A4, strappo devastante. Siamo tornate vicine con la Fondazione»

L’ente benefico ha «riunito» le sorelle che da bambine si erano dette: «Cercami per sempre».

«Cercami per sempre»: è come una traccia di luce nella vita di Mariavittoria Rava la promessa che lei e sua sorella Francesca si sono scambiate da bambine, impaurite dalla possibilità di poter essere - un giorno - separate. È stato davvero così, nonostante tutto, perché come scrive Lao Tzu «I legami più profondi non sono fatti né di corde né di nodi, eppure nessuno li scioglie», nemmeno la morte. Francesca ha perso la vita nel 1999 in un incidente d’auto sulla Bergamo-Milano, ma sua sorella ha continuato a cercarla in ogni frammento delle sue giornate e in suo nome ha intrapreso un’avventura straordinaria: ha creato la Fondazione Francesca Rava.

Lavorava in Kpmg a Bergamo

«Mia sorella – racconta Mariavittoria – lavorava in Kpmg di Bergamo e quel giorno aveva partecipato a una manifestazione sportiva promossa dall’azienda con i colleghi sulle montagne bergamasche. Aveva 26 anni, era molto sportiva e piena di energia, aveva vinto la gara di sci di fondo e al momento dell’incidente stava tornando a casa».

La morte di Francesca ha avuto un impatto devastante sulla vita dei suoi familiari: «Lavoravo già come avvocato – ricorda Mariavittoria –, mi ero appena sposata, stavo gettando le fondamenta del mio futuro. Ero molto legata a mia sorella e la sua perdita, così improvvisa e così ingiusta, mi ha gettato nella disperazione. Non ero preparata, non riuscivo a immaginare una vita senza di lei e in quel momento di fronte all’enormità di ciò che è accaduto ho sentito di aver perso la fede. Stavo preparando il concorso notarile, ma mi sembrava che tutto avesse perso significato».

Un vuoto enorme

C’è voluto un po’ prima che riuscisse a riemergere dal suo abisso abbastanza da ricordare quella promessa: «Quando eravamo piccole capitava a volte che in tv parlassero di bambini rapiti o scomparsi, e del fatto che dopo un po’ la polizia smettesse di cercarli. Così mia sorella Francesca e io ci siamo dette: “Se mai dovesse capitare a una di noi due, tu cercami per sempre”. L’affetto profondo che nutrivo per lei mi ha portato quindi a continuare a cercarla nella vita, e a chiedermi come avrei potuto dare un senso a ciò che era successo».

Quando una persona muore lascia un enorme vuoto in tutti coloro che l’amano, ma intorno a lei, negli spazi che occupava, per qualche tempo tutto continua a scorrere come prima, come se ci fosse ancora, finché resta qualcosa, il telefono, le stanze, gli oggetti, i vestiti, la corrispondenza. «Continuavo a ricevere e ad aprire le lettere indirizzate a mia sorella – racconta Mariavittoria – e sono rimasta in contatto con la sua migliore amica. Ogni anno andavano insieme a Lourdes accompagnando i bambini malati. A un certo punto è arrivata la sua convocazione per uno di questi viaggi. La sua amica mi ha proposto di accompagnarla al suo posto. Ero molto titubante. Mi sentivo piccola, inadatta. Alla fine mi ha convinta, dicendomi che lì avrei scoperto qualcosa di più di Francesca».

Il viaggio a Lourdes da volontaria

Salita sul treno, Mariavittoria è entrata in contatto con una realtà che l’ha assorbita completamente: «Mi sono rimboccata le maniche e dimenticata di me stessa per dedicarmi ai pellegrini. Mi è capitato di accompagnare a Messa una donna in barella. Il celebrante mi ha colpito per la sua energia: era un sacerdote messicano che parlava quattro lingue. Alla fine della celebrazione mi sono avvicinata e gli ho chiesto di poter rimanere in contatto con lui. Chiacchierando ho scoperto che la sua congregazione lo aveva destinato a Milano, a San Fedele, e che avrei potuto quindi andare a trovarlo lì». Una volta rientrata a casa, Mariavittoria ha deciso di andare a trovarlo: «Gli ho confidato lo smarrimento che provavo dopo la morte di mia sorella, e lui mi ha suggerito di svolgere attività di volontariato offrendo consulenze legali gratuite. Tra le richieste d’aiuto che si depositavano sul mio tavolo un giorno è arrivata quella di NPH, acronimo di Nuestros Pequenos Hermanos (I nostri piccoli fratelli), un’organizzazione umanitaria che si occupa di bambini in difficoltà in America Latina e ha sedi in tutto il mondo. In quel momento voleva aprirne una in Italia, e c’era una coppia che doveva incaricarsene, ma a causa di alcuni impedimenti all’ultimo momento aveva rinunciato». Mariavittoria aveva dato quindi la sua disponibilità a dare una mano in attesa di trovare qualcun altro. «Mia madre insegnava all’Università e proprio in quel periodo è andata in pensione. Allora ho reclutato lei e mia zia come prime volontarie. L’attività della fondazione è diventata via via più coinvolgente. A un certo punto abbiamo ricevuto la piccola eredità di mia sorella, la liquidazione che aveva maturato lavorando. Con quella somma abbiamo deciso di dare vita alla Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus, che ha un nome forse difficile da ricordare perché è piuttosto lungo, ma racconta la nostra storia».

La Fondazione in prima linea

Dopo vent’anni Mariavittoria continua ad alimentare questo progetto e a riversare in esso impegno ed entusiasmo: «È un’attività che supera me e la realtà della nostra famiglia per realizzare qualcosa di più grande. Sono l’erba cattiva che rimane – sorride – devo darmi da fare. Sono stata molto aiutata dai colleghi di mia sorella. Questa Fondazione è nata con una forte motivazione e da sempre agisce in prima linea». All’inizio Mariavittoria ha voluto conoscere di persona i progetti dell’organizzazione NPH: «Sono stata in Messico in un orfanotrofio con mio marito. Non sapevo che cosa aspettarmi e sono rimasta profondamente commossa e coinvolta da ciò che ho visto. Fra i bambini che ho incontrato c’erano due sorelline unite da un profondo affetto. Mi è sembrato un segno, come se mia sorella attraverso quel legame mi stesse dicendo che stavo facendo la cosa giusta». Al momento del rientro, Mariavittoria stava male e riteneva di aver contratto una malattia virale, invece era incinta: «Quando il medico me l’ha detto ho pensato che anche il mio bimbo fosse un po’ figlio di NPH. La mia vita si è intrecciata strettamente con quella della Fondazione. Entrambi i miei figli, che oggi hanno 19 e 20 anni, sono cresciuti coltivando con essa un forte legame». Sono trascorsi vent’anni di viaggi e di lavoro intenso: «La mia famiglia è stata travolta dall’onda d’urto del lutto – commenta Mariavittoria – ma ha trovato nel suo dolore la possibilità di aprirsi a quello degli altri. Ho abbracciato i bisogni e la sofferenza di molti, cimentandomi in un lavoro impegnativo, accanto a persone che mi hanno insegnato tanto. Quando penso al passato vedo una vita fatta di tanti sacrifici, di cui però non mi pento: abbiamo costruito un ospedale ad Haiti e siamo riusciti a fare tanto anche in Italia. Anche nel nostro Paese, infatti, le povertà che colpiscono i bambini sono cresciute. Sono diverse rispetto ad altre parti del mondo ma altrettanto dolorose». Da quando è iniziata la pandemia la Fondazione Francesca Rava ha offerto un aiuto prezioso anche all’ospedale Papa Giovanni XXIII: «Abbiamo donato alcuni macchinari per la diagnosi della polmonite interstiziale, e in particolare macchine per rx mobile da portare al letto del paziente, e abbiamo inviato sul posto due medici, Maddalena Cerone e Alessandra Pria, che durante la pandemia hanno lavorato nella terapia intensiva di Bergamo». In seguito la Fondazione Francesca Rava, rispondendo alle necessità manifestate dai primari degli ospedali, si è impegnata a fornire assistenza per creare percorsi separati e sicuri per la nascita attuando le misure necessarie per tutelare mamme e bambini dal Covid-19.

Gli aiuti ad Haiti

Anche ad Haiti l’emergenza continua: «Il nostro ospedale – spiega Mariavittoria – è pieno di casi e mancano i vaccini». La situazione si è aggravata dopo il recente terremoto: «Abbiamo lanciato una raccolta fondi per dare una mano, i bisogni non finiscono mai. All’inizio non mi sentivo all’altezza, poi ho imparato che l’importante è dare il massimo. Ho incontrato tanti volontari che si sono uniti a noi e ho ascoltato le loro storie. Ci sono persone di ogni età, dai ragazzini agli anziani, e ognuno mette a disposizione le proprie competenze. Per sostenerli abbiamo aperto una scuola a Milano, l’Accademia del bene, un luogo che aiuta tanti ragazzi a trovare la propria strada e ad apprezzare il valore della vita, perché il bene che si fa, poi torna indietro. Durante la pandemia abbiamo messo a punto un progetto specifico per i giovani, accogliendo l’appello del Tribunale dei Minori di Milano e del Beccaria, Istituto di detenzione per i minorenni della Lombardia, per sostenere percorsi di rinascita. Negli anni abbiamo dato attenzione anche alle donne e alle mamme, in particolare alle più fragili. Ne abbiamo aiutate molte che sono fuggite attraverso il Mediterraneo, svolgendo da 5 anni attività di soccorso».

Il gruppo di Bergamo

A Bergamo esiste un gruppo molto attivo di una trentina di volontari, coordinato da Paola Corno. Alcuni di loro sono stati in Haiti nell’ospedale della Fondazione e sostengono le sue attività: «Aiutiamo alcune case famiglia per mamme e bambini anche in città. Partecipiamo all’iniziativa nazionale “In farmacia per i bambini”, che si svolge nell’ambito della giornata nazionale per i diritti dell’infanzia, a novembre. Tutti gli anni a Bergamo si mobilitano in tantissimi per raccogliere farmaci da banco per i bambini che si trovano in condizioni di povertà sanitaria».

Non c’è un giorno in cui Mariavittoria non pensi alla sorella: «Il dolore non passa mai, però si è trasformato. La Fondazione mi ha permesso di conoscere tante persone nuove, culture e mondi diversi, sofferenze più grandi della mia, ha rivoluzionato la mia vita e ne sono grata tutti i giorni». Per info: fondazionefrancescarava.org , tel. 02/ 54122917.

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