«Green pass, meglio tardi che mai». Bassetti, me lo aspettavo prima

L’infettivologo Bassetti: «Me lo aspettavo prima: strumento pragmatico che ci può aiutare a non chiudere più. Su come tornare a scuola però si naviga a vista: bisogna insistere sulle vaccinazioni ai ragazzi fra 12 e 16 anni»

«Meglio tardi che mai. Il green pass è uno strumento pragmatico che ci può aiutare a non chiudere più. Dovrà essere inteso già ad agosto come una palestra per ridurre i rischi di contagio. Ma il rischio zero non esiste e non ci sono alternative al vaccino per riappropriarsi degli spazi di libertà». L’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, saluta come «necessaria» l’introduzione del green pass in diversi ambiti della vita sociale, dalle scuole ai trasporti. «Una misura anche un po’ tardiva. Da un Governo da tempo operativo mi aspettavo una decisione molto prima. Tra un mese riprenderà l’attività scolastica e il certificato sarà obbligatorio per docenti e personale scolastico.

Tuttavia persistono delle perplessità, alla luce anche dei contagi in crescita e della diffusività delle varianti». Professor Bassetti, con il green pass si tornerà all’attività scolastica in sicurezza? «Onestamente sembra che si navighi ancora un po’ a vista su come si debba tornare a scuola. Il certificato va bene per i docenti e per il personale scolastico, ma mi chiedo: per gli studenti abbiamo fatto qualcosa di concreto per raccomandare le vaccinazioni nella fascia tra i 12 e i 16 anni e come ci si è organizzati per scongiurare di nuovo il rischio di classi pollaio? Tra 20 giorni inizieranno gli esami di riparazione nelle scuole superiori e l’unico strumento per minimizzare i rischi è avere una popolazione scolastica più vaccinata possibile. Ma ciò non viene compreso a sufficienza». In che senso? «Se noi vogliamo ospedali e scuole sicuri, bisogna vaccinarsi. A noi deve interessare il presidio che ci garantisce il rischio minore a scuola, sui mezzi di trasporti, al ristorante, al cinema e negli altri ambienti al chiuso. Purtroppo il green pass e i vaccini in Italia sono visti come strumento di lotta politica, ma non è così. Stiamo registrando una nuova impennata di positivi in questa quarta ondata e, con la riapertura delle scuole a settembre, un nuovo balzo dei contagi dobbiamo metterlo in programma».

Quando si arriverà al picco di contagi, legati in gran parte alla variante Delta? «Il picco dovrebbe essere raggiunto tra una decina di giorni, dopo Ferragosto, anche in Lombardia. Ci sono tuttavia ancora tanti giovani non vaccinati che alimentano la catena di trasmissione del virus. Ma finora all’aumento dei contagi non è corrisposto un incremento significativo dei ricoveri. E ciò deve far riflettere». Quindi il vaccino si è rivelato determinante nel ridurre le ospedalizzazioni? «Il trend è ormai segnato: con l’aumento dei contagi avremmo già dovuto avere un riscontro nella pressione ospedaliera, come nel passato. Ma ciò non è avvenuto perché è aumentata la quota di vaccinati e le persone che si contagiano non sviluppano fondamentalmente la malattia grave. Le Terapie intensive presentano numeri stabili e gestibili, con i nuovi ingressi che si contano sulle dita di una mano». Su quali fasce bisogna insistere nella campagna vaccinale? «C’è ancora una quota di over 60 da immunizzare prima possibile: sono questi i soggetti più a rischio e da proteggere, per se stessi e per gli altri. E, per i soggetti vaccinati con due dosi che non rispondono al vaccino, occorrerà pensare a una terza dose e comunque a protezioni maggiori nel contesto in cui vivono, con l’utilizzo anche di mascherine più resistenti. Secondo alcuni studi il soggetto vaccinato ha una capacità di contagiare del 90% inferiore agli altri». A proposito di studi, è vero che la variante Delta trova maggiori difficoltà a insinuarsi nei vaccinati e si fermerebbe nel naso? «Sì, lo studio di un gruppo di ricercatori di Singapore su 200 soggetti positivi con variante Delta ha evidenziato che si possono contagiare anche i soggetti vaccinati, ma il virus fa fatica a farsi strada e non penetra nei loro polmoni.

Avere il virus nel naso vuol dire avere una carica virale per 2-3 giorni, con gli anticorpi presenti soprattutto nei polmoni e che necessitano di qualche giorno per arrivare nel naso e rendere inattivo il virus. Chi non ha il vaccino invece possiede una carica virale elevata per 10-15 giorni e ci sono maggiori possibilità che trasmetta il virus. Per questo si asserisce che il soggetto vaccinato ha una capacità di contagiare inferiore del 90% agli altri». Quindi qual è il messaggio da lanciare? «Il vaccino non è la soluzione di tutti i problemi, ma se io sono vaccinato e ho anche un tampone positivo, la malattia grave non mi viene. Quindi, in un mondo ideale in cui siamo tutti vaccinati, non è necessario nemmeno fare il tampone, perché il virus perde consistenza». Lei ha ricevuto minacce per le sue posizioni a favore dei vaccini e vive sotto scorta.

Ciò è indice del clima pesante che stiamo vivendo? «Non ho una scorta vera e propria, ma una sorveglianza attiva. Ringrazio la polizia e i carabinieri che mi proteggono, perché ricevo giornalmente minacce indirizzate anche alla mia famiglia. Invito in ogni caso a riflettere, perché ci sono anche alcune forze politiche che strizzano l’occhio ai no Vax, sposando un’idea di elettorato anacronistica. Speriamo di non assistere tra settembre e ottobre a un nuovo balzo di contagi e ricoveri, perché molti poi potrebbero trovarsi in grande imbarazzo alla luce delle posizioni attuali contro i vaccini. Si respira comunque un brutto clima, perché dovremmo essere tutti uniti intorno a un tema così importante. L’alternativa al vaccino oggi non esiste».

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