Il vescovo Beschi dalla Gmg: «I giovani, la speranza di una società più giusta»

L’INTERVISTA. Il vescovo di Bergamo traccia il bilancio dell’evento: «Un milione e mezzo di ragazzi intorno al Papa, fatto del tutto originale».

Un segno di speranza in un’epoca di incertezza, un’esperienza di Chiesa che mette al centro i giovani, rendendoli protagonisti, e apre per loro una prospettiva di fede che vale per tutta la vita. Così il vescovo monsignor Francesco Beschi rilegge la Giornata mondiale della gioventù appena terminata che ha trascorso camminando con i giovani, ascoltandoli, accompagnandoli in ogni tappa di questo pellegrinaggio.

Come ha vissuto la Gmg di Lisbona?

«Sono partito con una profonda speranza. Questa Gmg che si svolgeva in Europa dopo 7 anni era aperta a molte incognite. La prima era la partecipazione, e quindi c’è stata prima di tutto la sorpresa di una risposta oltre le aspettative. Non dimentichiamo che le conseguenze della pandemia hanno aggravato una serie di problemi che investono la vita della Chiesa e in

modo particolare il rapporto con i giovani. Era tutt’altro che scontato che ci fosse una presenza così significativa. Mi ha colpito non solo per i numeri, che non sono da poco, ma anche per il clima di attesa che avevo percepito già prima della partenza, per il modo in cui questi giovani si sono preparati. Allo stesso tempo non posso che apprezzare molto la fiducia che i giovani hanno concesso non solo nei confronti dell’evento, al quale la maggior parte ha partecipato per la prima volta, ma anche dei sacerdoti che li hanno accompagnati, una cinquantina, che per loro rappresentano il volto della Chiesa. Per quanto mi riguarda nutrivo fin dall’inizio la speranza che questi giovani, per la maggior parte maggiorenni, potessero vivere un’esperienza spirituale ed ecclesiale che non si concludesse nei giorni che abbiamo vissuto ma che aprisse la loro intelligenza e il loro cuore alla prospettiva della fede, non sempre così facile da accogliere. E mi auguro davvero che sia così».

Dall’esterno della Gmg si coglie soprattutto l’aspetto più festoso e allegro. Tuttavia essa ha anche un lato spirituale, ed è di fatto un pellegrinaggio. Si conciliano questi due aspetti?

«È certamente un pellegrinaggio e la meta non è un luogo ma un’esperienza di incontro. Ci sono milioni di giovani che si incontrano tra loro, con il Papa e con Dio, qualcosa di meno decifrabile, ma di fondamentale. E questo non è solo un proposito di chi organizza, ma è anche un desiderio di chi partecipa. Certamente è anche una grande festa, e teniamo conto che non sempre anche per i giovani è facile far festa con questo stile. Non basta una grande organizzazione, stare bene insieme è frutto di un sentimento. La loro attesa, e il confronto con una moltitudine di altri giovani, fa scattare la scintilla della gioia. Una gioia semplice, che nasce dall’incontrare altri coetanei che si sono convocati non per un concerto o un appuntamento qualunque di intrattenimento, ma attorno a una proposta che riguarda la fede. L’allegria che ne scaturisce è del tutto particolare. Vale la pena sottolineare che è comunque una grande festa e che il clima diffuso è quello della gioia. C’è poi anche l’aspetto del pellegrinaggio, perché certamente il percorso non è stato agevole: lunghe notti in pullman, continue code, tanta fatica. Ma questo non diminuisce l’allegria, anzi, contribuisce a farla crescere. Sono caratteristiche che ho notato in modo molto evidente, insieme a una maggiore consapevolezza e serietà dei giovani che hanno partecipato».

Papa Francesco ha invitato a declinare questo incontro «nella valle della vita quotidiana» e ha sintetizzato il suo messaggio in tre verbi: «Brillare, ascoltare, non temere». Quali indicazioni concrete è possibile trarne?

«Questo “brillare” dei giovani nell’ambito della Chiesa ha una lunga storia, sottoposta in questi anni a una prova severa, la disaffezione rispetto all’esperienza della fede, che però deve essere interpretata. Già San Giovanni Paolo II aveva intuito che è propria della giovinezza questa disposizione alla passione, al coraggio, alla generosità, a manifestare anche e soprattutto attraverso la gioia il proprio desiderio di vivere. Nonostante le difficoltà, credo che questo brillare esistenziale, non organizzativo, sia da sostenere innanzitutto riconoscendolo. Nei giovani non è difficile, basta osservarli con uno sguardo non timoroso e tantomeno aggressivo e immediatamente si può trovare in loro questa scintilla, questa possibilità di brillare».

Il Papa ha invitato anche ad ascoltare.

«Ascoltare oggi è una condizione che viene proposta a tutti i credenti. Tutte le persone aspettano di essere ascoltate, e allo stesso modo anche Dio. Il primo ascolto, quello decisivo, è proprio quello di Dio, con la scoperta che anche Dio ci ascolta. Non si tratta quindi di un atteggiamento passivo, perché questa possibilità di ascoltare certamente significa aprire in sé uno spazio, ma non è uno spazio vuoto, in esso l’ascoltatore è protagonista, quindi in realtà l’ascolto è la premessa indispensabile di un dialogo. Un momento in cui ci si incontra profondamente, non solo un metodo, e la sua forza sta nello spirito. È un ascolto gratuito ma non passivo. Quando il Papa insiste a tutti livelli su questa dimensione dell’ascolto mi sembra evochi tutto questo. Penso a volte alle difficoltà che questi ragazzi hanno in famiglia, dove la dimensione dell’ascolto è decisiva per le relazioni familiari. Vorrei dire a tutti noi adulti che i ragazzi hanno una predisposizione all’ascolto, anche se spesso pare che si disinteressino di ciò che gli viene detto, in particolare dai loro genitori. Desiderano però anche essere ascoltati, instaurando un rapporto di fiducia, nel quale anche loro possano aprire il cuore. C’è in loro il desiderio di ottenere una parola illuminante, che poi rielaboreranno a loro modo, e non dobbiamo pretendere che mettano subito in pratica ciò che desideriamo. È importantissimo però che anche in famiglia si sviluppi questo ascolto, che non vuol dire accontentare e assecondare i ragazzi in ogni richiesta e non è neppure un modo per rabbonire le loro istanze, ma un’esperienza autentica. Il Papa affida anche ai giovani il compito di ascoltare i loro coetanei. Parlando di “gioia missionaria” gli assegna il compito di testimoniare la gioia del Vangelo, che non è la gioia della perfezione, non è una morale profondamente umana ma esigente che potrebbe essere percepita immediatamente come restrittiva. È la gioia che nel Vangelo si ritrova come liberazione, come possibilità di pace e di futuro. Proprio questo è ciò che il Papa chiede ai giovani di comunicare e di testimoniare».

Il Papa invita infine a «non temere», con uno slancio che ricorda le parole di Papa Giovanni Paolo II.

«“Non avere paura” è un’espressione che ricorre in modo frequente nel Vangelo. Molto spesso Gesù invita a non temere. Il Papa lo dice mostrando che c’è una mano tesa che vorrebbe essere quella di Dio e della Chiesa. Una mano tesa a chi sta passando momenti di apprensione, dubbio, fatica e disperazione».

Questi giovani rappresentano una provocazione positiva per il mondo adulto, anche se spesso, perfino in questa occasione, al di fuori del mondo cattolico, non «fanno notizia». Che ne pensa?

«Il Papa ha convocato i giovani per questa giornata mettendo al centro il loro impegno per la pace e la costruzione della società in termini più giusti e più umani. Un milione e mezzo di giovani riuniti intorno a lui e concentrati su queste tematiche mi sembra continui a essere un fatto del tutto originale e quindi meritevole di un’attenzione non solo dei media, ma di tutta la società. Dimenticarlo o tralasciarlo sarebbe come fare torto ai giovani, che sono i veri protagonisti di questo incontro».

Leggi anche

© RIPRODUZIONE RISERVATA