«In fin di vita nel Mediterraneo, rinato e accolto: grazie Bergamo»

Rinascita.Dall’Egitto alla nostra città Melad ha tentato due volte la traversata sul gommone. Oggi è l’apprezzato pizzaiolo del Bombonera Social Pub ed ringrazia la comunità del Villaggio degli Sposi, dove vive e lavora.

Il periodo di Natale è una festa di luci, di sorrisi, di condivisione. Sentimenti che non sono sempre scontati. Per qualcuno sono stati un miraggio. Un desiderio tenuto segreto con l’amico di giochi. Per tanti anni. In un Egitto dove la libertà non è quella che conosciamo in Europa. E solo oggi può festeggiare un Natale pieno, di rinascita, che fa felice lui e rende felici gli altri, la comunità in cui vive e lavora.

È la storia straordinaria di Melad Mekhail, 27 anni, partito da Minya, grande città vicina a Il Cairo, due volte (una delle quali respinto dall’Italia via aereo) attraversando il Mediterraneo con un barcone dal quale è sbarcato vivo per miracolo. Oggi Melad fa il pizzaiolo al Bombonera Social Pub, locale di successo al Villaggio degli Sposi, «costola» dell’Edoné di Redona. Il suo Natale è la gioia di essere parte viva e riconosciuta di una comunità aperta e accogliente. «Io sono cristiano copto e il Natale lo festeggio il 7 gennaio - racconta Melad - ma da quando sono entrato a far parte della comunità del Villaggio degli Sposi il mio Natale è speciale, è condiviso, è fatto di tante amicizie».

Melad è un ragazzo semplice e solare. Un gran lavoratore, alla bergamasca. Già quando era un ragazzino, al mattino andava a scuola e poi nel pomeriggio dava una mano al padre a coltivare la terra: verdure, legumi, patate e anche frutta. E così cresce. Ma dentro di lui matura anche un forte desiderio di libertà, insieme all’amico Mina. Con lui fantasticava di partire per l’Italia. La famiglia non è d’accordo ma lui va avanti e trova i canali «non ufficiali» che organizzano i viaggi verso il nostro Paese.

Respinto al primo tentativo

«Una sera suonò il telefono di casa: nel giro di due ore si salpava verso l’Italia. A mezzanotte siamo arrivati in una località sul mare, non so dove, era tutto buio. Siamo saliti su una barca e abbiamo navigato tutta la notte. Verso le 8 del mattino, in mezzo al mare, ci hanno fatto salire su un gommone, e per 7 giorni abbiamo navigato verso la Sicilia fino a quando siamo approdati su una spiaggia. Non so dove, ma la Polizia Italiana ci stava già aspettando». Per otto giorni avevano mangiato riso, una volta al giorno. «Ma tutto questo non importava più, eravamo in Italia!», sottolinea Melad. Peccato che l’entusiasmo, enfatizzato da un veloce trasferimento a Roma per prendere l’aereo sia sfumato all’aeroporto di arrivo: «A mezzanotte siamo atterrati. Ma eravamo a Il Cairo! Non volevo crederci. Ci avevano preso in giro. Dopo tutto quel viaggio durissmo, ero di nuovo in Egitto. Nessuno voleva più scendere dall’aereo. La polizia egiziana ci fece scendere con la forza. Disordini, arresti. Tristezza, tantissima tristezza».

Il secondo viaggio disperato

Ma Melad non molla, proprio come i bergamaschi. Un anno dopo, ci riprova. Partenza da Alessandria, ma questa volta i profughi erano molti di più, circa 80 persone. «Questo secondo viaggio fu terribile. Per nove giorni siamo stati in mezzo al mare con la barca in panne. Senza cibo nè acqua. Arrivammo addirittura a bere l’acqua del mare. Siamo stati male. E sono morte delle persone. Poi a un certo punto la Polizia italiana ci ha trovati e ci ha portati in salvo, con l’elicottero. Uno ad uno. Sono rimasto attaccato all’ossigeno per trenta giorni, in un ospedale in Calabria. Una volta ristabilito sono stato portato in una comunità per minori. Per sei mesi, fino a quando ci hanno dato dei biglietti del treno per Roma. Dovevamo andarcene: erano finiti i fondi a sostegno della Comunità in cui stavamo. A Roma non mi aspettavo un comitato di accoglienza. Ed infatti non c’era proprio nessuno ad aspettarci. Ho dormito sotto gli alberi di un parco pubblico per tre mesi, con altre cinque persone. Ogni mattina mi alzavo e con il mio permesso di soggiorno stretto fra le mani andavo in Questura, ogni santa mattina, per chiedere aiuto, per chiedere un tetto».

L’angelo della stazione

Dopo tre mesi di estenuante attesa, attenuata solo dal pasto caldo di un ente caritativo del Vaticano, Melad tenta la carta Milano. Ma anche lì, appena arrivato, la Polizia lo fa salire su un treno per Bergamo. «Mi sentivo come una pallina di un flipper e mi chiedevo: troverò mai una casa? E a Bergamo, la notte in cui sono arrivato alla stazione dei treni, è avvenuto l’incontro che ha cambiato la mia vita. Infreddolito, su una panchina, si avvicina un uomo. Era don Patrizio Moioli. In un primo momento ero spaventato, il “don” è un uomo di un metro e novanta e la mia diffidenza era tanta. Ma mi ci è voluto poco per capire con che persona stavo parlando. Dopo essersi sincerato che stessi bene e avermi chiesto se avessi bisogno di qualcosa, al mio declinare ogni tipo di aiuto se ne è andato via. Dopo un’ora però è tornato alla stazione dei treni e trovandomi ancora lì, mi ha offerto un tetto dove dormire. Accettai di seguirlo».

Tutto questo è avvenuto quando Melad aveva 17 anni. Ora ne ha 27 e, superato l’impatto di un’esperienza così violenta, ha deciso di raccontarsi e di scegliere questo Natale per ringraziare tutti coloro che l’hanno accolto . «In questi dieci anni – racconta Melad – la parrocchia del Villaggio degli Sposi è stata la mia casa. Ho preso il diploma di terza media all’Istituto Pesenti. Ho studiato fino alla seconda superiore alla scuola serale, mentre di giorno incominciavo a lavorare come aiuto cuoco. Dopo un’esperienza da apprendista di due anni da Tresoldi, nel 2016 ho conosciuto i ragazzi di Edoné, che mi hanno accolto come uno di famiglia. In questi anni ho imparato a fare il cuoco, il panettiere e il pizzaiolo. Oggi sono il responsabile della pizzeria e della cucina del Bombonera Social Pub, che si trova all’interno del Centro sportivo don Bepo Vavassori del Villaggio degli Sposi, il mio quartiere!».

Melad, con una serenità ritrovata, parla del suo quartiere. A migliaia di km di distanza dalla sua terra d’origine, ha trovato una nuova casa. «Sin dal mio arrivo a Bergamo sono stato accolto a braccia aperte: don Patrizio, Katia Pasolini che mi ha assistito passo a passo in tutto quello che mi serviva per inserirmi anche dal punto di vista burocratico, la parrocchia San Giuseppe, il quartiere Villaggio degli Sposi, Edoné e adesso Bombonera. Ho trovato casa. Ho trovato una famiglia. E sono felice. C’e solo una parola che descrive tutto ciò, e viene dal profondo del mio cuore: grazie! Oggi, anche per me, è festa».

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