Cronaca / Bergamo Città
Sabato 13 Dicembre 2025
I 50 anni di Caritas, don Trussardi: «Incontrare i poveri è chiamarli per nome»
L’ANNIVERSARIO. Oggi, 13 dicembre, si celebrano i 50 anni della Caritas. Il direttore don Roberto Trussardi: «Bisogni e desideri da tenere insieme». «Dobbiamo essere profetici e dire anche quello che può essere migliorato: la città può fare di più per essere davvero vicina a chi resta indietro».
Montagnino d’origine (è nativo di Clusone), 55 anni appena compiuti (il 10 dicembre), don Roberto Trussardi nel 2018 è stato chiamato dai confini della Diocesi (è stato coadiutore dell’oratorio a Calusco d’Adda e poi parroco a Vercurago) per dirigere la Caritas diocesana bergamasca. «Il Vescovo mi ha chiesto di essere “garante dei poveri”, stare in relazione con loro credo sia la cosa che mi riesce meglio. La loro amicizia è preziosa», dice.
Il suo ruolo, però, richiede anche doti un po’ da politico e un po’ da manager.
«Ci sono anche questi aspetti, ma io mi sento innanzitutto prete. Certo è che mi capita di passare in un minuto e mezzo da Zabulon (il servizio docce, ndr) ai palazzi delle istituzioni. Ho sempre la camicia pronta in ufficio. Caritas è cercata da più parti, anche per la sua capacità di risolvere tanti problemi».
Tant’è che la riconoscenza è trasversale: il 16 dicembre riceverà la benemerenza civica del Comune di Bergamo (la seconda, è anche cittadino onorario di Vercurago, ndr).
«Fa piacere, ma mi auguro che la scelta non sia per la persona di don Roberto, ma, in un anniversario così importante come i 50 anni di Caritas, per i tanti operatori e volontari che fanno un lavoro quotidiano immane, con costanza e perseveranza».
Ha parlato di questo traguardo anche come di una «responsabilità». Verso chi?
«È una responsabilità dentro la Chiesa, perché Caritas prova a creare una cultura e un’animazione della carità in ogni uomo e donna che vive il territorio bergamasco. Verso i poveri, perché sanno che qui trovano chi garantisce per loro, li tutela e li sostiene. Verso il mondo esterno, con una collaborazione che dura da 50 anni e che è da incentivare e fare ancora meglio. E infine c’è una responsabilità che definirei “profetica”».
Come si esprime?
«Nel pungolare, nel rompere anche un po’ le scatole, nel dire anche quello che non va e può essere migliorato, per essere ancora più vicini alle persone che fanno fatica».
«Capisco il disagio di chi trova fuori dal proprio uscio qualcuno che dorme o fa i propri bisogni. Certi quartieri vivono queste situazioni più di altri. Ma la risposta non è enfatizzare i problemi o la paura, e a volte lo si fa»
Che cosa non va?
«Caritas collabora bene con l’amministrazione pubblica, che ringrazio sempre per l’attenzione e quello che fa. Sono fiero di vivere in una città bella, che negli ultimi anni si è molto evoluta e sprovincializzata. Ma mi chiedo: è una città per tutti o sta diventando solo per chi può?È la domanda che mi risuona dentro».
Che risposta si è dato?
«Quando la sera vado in giro per i servizi, vedo e incontro per strada i senza fissa dimora e chi vive nella grave marginalità, mi dico che non sempre è una città per tutti. Non c’è più una fontana pubblica dove i poveri possano bere, non ci sono bagni pubblici gratuiti».
Luoghi che però spesso attirano bivacchi: cresce l’insofferenza dei cittadini, anche legata al tema della sicurezza.
«Io cerco di avere la massima comprensione per i cittadini impegnati tutti i giorni con famiglia e lavoro e che hanno il diritto di sentirsi al sicuro a casa e nelle vie. Capisco il disagio di chi trova fuori dal proprio uscio qualcuno che dorme o fa i propri bisogni. Certi quartieri vivono queste situazioni più di altri. Ma la risposta non è enfatizzare i problemi o la paura, e a volte lo si fa. Bisogna ascoltare le giuste e sentite paure, costruendo insieme le risposte, con un coordinamento ancora più forte di quello che già c’è. Anche il livello centrale e governativo deve prendere in modo più serio questo tema, con più risorse».
Secondo lei si potrebbe fare di più per i poveri?
«I servizi ci sono e funzionano, quelli di bassa soglia per la grave marginalità è la Chiesa (Caritas, Patronato, Frati Cappuccini) a portarli avanti, in collaborazione col pubblico. Una provocazione però mi sento di lanciarla».
Quale?
«I finanziamenti per costruire la nuova Gamec li troviamo, 18 milioni di euro (di cui 6 milioni da Fondazione Banca Intesa, 6 dal Pnrr, 1.5 da Fondazione Banca Popolare di Bergamo, 4.5 da Palazzo Frizzoni, ndr), sono fiero di questo, non voglio fare il populista. Però possiamo metterci tutti insieme, e non sto dicendo solo il pubblico, con la testa mossa dal cuore e il cuore mosso dalla testa, per provare a trovare delle risorse per chi veramente resta indietro e fa fatica? Non mi piace la risposta “lo stiamo già facendo”, lo so e ringrazio. Però forse oggi, come riusciamo a trovare certi finanziamenti “per” e ne andiamo fieri e va bene, servirebbe un po’ più di testa anche per trovare finanziamenti di entità molto, molto, molto minore, che permettano però a quegli enti come Caritas, Patronato e Frati Cappuccini, di poter andare avanti meglio».
Parole «scomode».
«So che può essere una frecciata pesante, ma non è una critica a chi sta lavorando e si sta prodigando in tutti i modi, però un pensiero dobbiamo avere anche il coraggio di dircelo e scambiarcelo. Tra le mie caratteristiche di sicuro c’è la schiettezza».
Non va molto di moda, oggi si predilige il «politicamente corretto».
«Quando il Vescovo mi ha chiamato gli ho detto che faceva meglio a tenermi lontano perché si portava un problema molto vicino. Ma credo che servisse anche uno un po’ fuori dagli schemi come me. Cerco di stare nei canoni giusti, ma a volte serve anche la “follia della carità”: la persona viene prima dei canoni».
Ripete infatti spesso che la persona va accolta anche nei suoi desideri, non solo nei suoi bisogni. Lei i poveri li accompagna in gita, allo stadio, nei musei.
«Recentemente siamo stati anche al Museo Bernareggi e a pranzo col Vescovo: monsignor Beschi era di una felicità, sono contento per questo rimando. Rispondere ai bisogni sì, ma fare solo questo tiene orizzontale una persona. Far emergere i desideri mette invece la persona in verticale, la fa rialzare. Bisogni e desideri insieme creano dignità e bellezza».
E costruiscono relazioni.
«Proprio perché Caritas crede nelle relazioni non chiede “di che cosa hai bisogno” o “cosa posso fare per te”, ma chiede innanzitutto “come ti chiami”, non a caso il “titolo” che abbiamo scelto per il 50°. Tra le tante frasi che mi hanno colpito, c’è stata quella di un povero che mi ha detto: “Almeno tu don Roberto ricordati di me, ricordati il mio nome”. I poveri li chiamo per nome».
«Rispondere ai bisogni sì, ma fare solo questo tiene orizzontale una persona. Far emergere i desideri mette invece la persona in verticale, la fa rialzare. Bisogni e desideri insieme creano dignità e bellezza»
In strada quali sono le emergenze?
«I giovanissimi, anche italiani, tra i 18 e i 25 anni. Le donne, in aumento. E gli psichiatrici: nei dormitori la loro presenza arriva anche al 20-30%».
Con l’uso di alcol e sostanze un mix esplosivo, che aumenta l’aggressività. Anche lei è finito in ospedale colpito da un pugno.
«Abbiamo passato l’estate 2025 in fatica, con casi al limite, alcuni creavano tensioni. Ora la situazione è migliorata. Certo chi vive in strada, con grandi fatiche, angoscia e rabbia, non sempre controlla le sue reazioni. Gli educatori sono davvero bravi a “contenere”, ma i casi psichiatrici avrebbero bisogno di strutture e percorsi adeguati, spesso però a loro volta saturi e in difficoltà».
Anche i dormitori non bastano. Ne avete in progetto due nuovi per il 2026.
«È il segno bello che, insieme al Vescovo, abbiamo deciso di lasciare per il 50°. Abbiamo lanciato una raccolta fondi per due nuovi dormitori: uno femminile da 14 posti in via Maglio del Lotto, e uno maschile da 16 posti in via Conventino. Si chiamerà “Zabulon by night”, perché è accanto al servizio docce “Zabulon by day”».
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