«Lavoratori poveri» in costante aumento: in dodici mesi sono cresciuti del 12,5%

IL FENOMENO. Secondo i dati dell’Inps, i dipendenti interinali e quelli intermittenti sono passati dai 38.899 del 2021 ai 43.777 del 2022.

Sono gli acrobati del lavoro, in costante ricerca di un equilibrio nella precarietà passando da un impiego all’altro, da un rinnovo all’altro. Contratti più o meno brevi, pagati meno di chi ha la stabilità, spesso col telefono in mano in attesa di una chiamata. Se l’occupazione è ai massimi livelli, pur al netto di qualche segnale di raffreddamento dell’economia, c’è però anche una zona d’ombra popolata da chi fa fatica a trovare un orizzonte di sicurezze: quasi 45mila bergamaschi si barcamenano tra lavoro in somministrazione (quello interinale) o lavoro intermittente (quello «a chiamata»), con numeri in costante aumento. Non è necessariamente «lavoro povero», da un punto di vista strettamente tecnico, perché non si tratta solo di «contratti pirata»; ma è un lavoro spesso «spezzettato» che, alla lunga, rischia d’impoverire quelle persone.

I nuovi dati dell’Inps raccontano appunto che durante il 2022, in Bergamasca, sono stati 29.611 i lavoratori in somministrazione, e altri 14.166 quelli intermittenti: insieme fanno un totale di 43.777 lavoratori, ben 4.878 in più rispetto ai 38.899 del 2021 (+12,5%); crescono in particolare quelli a chiamata, +17,30% (da 12.076 a 14.166), ma è a due cifre anche l’aumento di quelli in somministrazione (+10,4%, da 26.823 a 29.611). Allargando lo sguardo si coglie plasticamente la diffusione di queste forme «d’ingaggio»: nel 2012 tra lavoratori in somministrazione (14.122) e intermittenti (11.727) si arrivava a 25.849 persone, nel 2022 sono state 17.928 in più (+69,4%). Sempre di più.

Salario minimo, il dibattito

«Quando si parla di lavori discontinui e a termine, la soluzione per noi è chiara – riflette Francesco Corna, segretario generale della Cisl Bergamo –: da tempo il nostro sindacato propone che il lavoro precario debba costare di più al datore di lavoro, in modo tale che sia invece più conveniente un contratto a tempo indeterminato, stabile. Pur riconoscendo che in alcuni momenti alle aziende può servire più flessibilità, si deve andare nella direzione di favorire la stabilità». Perché questo è il punto: chi vive di contratti frammentati, come il lavoro interinale o a chiamata, difficilmente può costruirsi un orizzonte di futuro. «Il lavoro in somministrazione è nella gran parte dei casi un lavoro a tempo determinato, e lo scorso maggio il governo ha messo mano proprio alla normativa sul tempo determinato togliendo di fatto le causali per i dodici mesi: una scelta normativa che lo incentiva. Il vero termometro sul mercato del lavoro è invece dato dall’aumento del lavoro stabile», commenta Marco Toscano, segretario generale della Cgil Bergamo. Anche questi contratti vanno a completare l’ampia galassia del «lavoro povero»: «È una componente di un calderone in cui si sommano tante situazioni – aggiunge Toscano –: i part time involontari, le poche ore lavorate, i contratti pirata. L’esigenza di pensare a un salario minimo come punto di partenza della contrattazione nasce da questo, oggi ancor più evidente per la perdita di potere d’acquisto determinata dall’inflazione». Sul salario minimo, però, l’interpretazione dei sindacati è divergente: «La ricetta non è unica e non può essere limitata alla sola richiesta del salario minimo – osserva Corna –. Per noi si deve agire su più fronti, con i rinnovi contrattuali nazionali e includendo nella contrattazione chi è escluso, ma anche con defiscalizzazioni legate alla produttività. C’è poi la questione del lavoro nero e irregolare: e questo problema non lo si risolve col salario minimo, ma con le ispezioni e incrementando gli organismi di controllo».

La velocità delle retribuzioni

Chi vive di lavoro intermittente o in somministrazione – dati dell’Inps alla mano – si ritrova con le buste paga più magre. È l’evidenza dei fatti: mediamente nel 2022 un lavoratore intermittente bergamasco è stato retribuito con 49 euro (lordi) per giornata lavorativa e un lavoratore in somministrazione è arrivato a 76 euro per giornata lavorativa; i lavoratori dipendenti del privato salgono invece a 97 euro/giorno, i dipendenti pubblici arrivano a 114 euro.

«Sono tre le chiavi per dare dignità al lavoro – ribadisce Toscano –: contratti stabili, stipendi adeguati e la garanzia di una crescita professionale attraverso la formazione». Per i giovani che vivono di lavori frammentati si pone anche una questione legata al futuro: «Serve una pensione di salvaguardia per i giovani che hanno periodi di lavoro discontinui – è la proposta di Corna –. Un primo passo è stato fatto nelle ultime Finanziarie, con la possibilità di coprire i periodi “buchi” utilizzando la contrattazione aziendale, ma serve una soluzione più strutturale. Occorrerebbe anche estendere la copertura delle pensioni integrative, ragionando su come poterle rendere obbligatorie soprattutto per i giovani».

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