«Marco, il compagno di banco che passava da Proust agli sketch su YouTube»

IL RICORDO. Marco ha condiviso gran parte delle sue giornate a coordinare il lavoro di redazione. Era un uomo mite, aiutava a smussare le tensioni.

Era il nostro «compagno di banco» nell’Ufficio centrale. Cinque scrivanie ravvicinate nel luogo incaricato di coordinare e di controllare il lavoro dei settori della redazione, di raccogliere i problemi di giornata e cercare una soluzione, di rispondere alle telefonate esterne di chi segnala notizie o lamenta errori reali o presunti negli articoli pubblicati.

È qui che Marco la sera dell’11 maggio scorso è stato colpito dal male che ce lo ha portato via. Avevamo lavorato insieme per tutta la giornata fino alle 21,58 quando il fulmine dell’emorragia cerebrale ha spento la sua testa. Avevamo parlato e discusso, scherzato e ragionato. E definito con il direttore le notizie meritevoli della prima pagina. Pochi secondi prima dell’orario fatidico lui aveva ricevuto una telefonata, battuto le dita sulla tastiera del computer e subito dopo non c’era più: il corpo era ancora vivo ma la testa si era spenta. Non rispondeva più alle nostre domande. Quella testa che il nostro caro collega aveva saputo mettere a frutto così bene nella sua carriera professionale, producendo idee, proposte, pensieri raffinati e una scrittura pregevole. Ma anche ironia e autoironia. Il lavoro nelle redazioni è diventato pesante, non come fare l’operaio o il muratore, ma pur sempre pesante: ci si deve misurare con i tagli per la grave crisi dell’editoria, le nuove tecnologie velocizzano i tempi di produzione del giornale ma allo stesso tempo li ampliano in quantità, i canali di comunicazione sono moltiplicati (mail, messaggi WhatsApp e Facebook), il clima sociale incattivito misurabile nelle telefonate di persone piene di pretese o che vogliono imporre la loro verità dei fatti. L’Ufficio centrale è il raccoglitore di tante tensioni. E allora l’ironia è necessaria per alleggerire la pressione, per dare a ogni cosa il giusto peso.

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Marco era capace di passare dalla scrittura di un articolo su Marcel Proust alla ricerca su YouTube di uno sketch divertente, che diventava il nostro sketch per distrarci. Tifoso della Juventus, non voleva guardare le partite in tv: lo facevano soffrire. Avevamo raggiunto un compromesso: assistevamo alle gare della sua squadra ma togliendo l’audio. Marco però era il primo a lasciare la scrivania per raggiungere il televisore e alzare il volume quando la Juve segnava.

Marco era capace di passare dalla scrittura di un articolo su Marcel Proust alla ricerca su YouTube di uno sketch divertente, che diventava il nostro sketch per distrarci.

Arrivava in redazione nel primo pomeriggio con il suo passo felpato e l’inseparabile zainetto in pelle contenente libri e riviste. Lo pigliavamo in giro, gli davamo dell’intellettuale snob e lui stava al gioco, pronto a ricambiare la derisione alla prima opportunità. Marco era un uomo mite, dote che lo aiutava a smussare le tensioni del lavoro. Era facile collaborare con lui e volergli bene, anche per via di una sua certa fragilità fisica mai nascosta, ma umanamente raccontata. Quante discussioni sull’aria condizionata che lui voleva spenta perché gli procurava fastidio. Le giornate in redazione sono lunghe: si passa più tempo qui che a casa. E il nostro caro collega non mancava mai di chiedere come andava la vita «di fuori» rendendo la convivenza piacevole. Possedeva una cultura letteraria e cinematografica vasta ma non la esibiva né la affermava per stabilire una superiorità. Nell’Ufficio centrale si prendeva in carico anche il lavoro giornalisticamente meno gratificante, come l’impaginazione delle rubriche.

Marco avrebbe meritato altra vita. Ma ci lascia molto. I suoi preziosi articoli consultabili nell’archivio de «L’Eco», un modo corretto di stare in redazione e una presenza umana originale e indimenticabile.

Marco avrebbe meritato altra vita. Ma ci lascia molto. I suoi preziosi articoli consultabili nell’archivio de «L’Eco», un modo corretto di stare in redazione e una presenza umana originale e indimenticabile. Il nostro caro collega continuerà a vivere in chi ha lavorato con lui e in chi in generale l’ha conosciuto. Ricordiamo un editoriale che scrisse anni fa sulla morte, sull’atto finale della vita che non ha l’ultima parola. Ogni esistenza non è invano ma lascia un segno nel mondo. Come Marco.

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