Nella Bergamasca: «Comunità psichiatriche al limite»

L’EMERGENZA. Il nuovo il grido d’allarme alla Regione: «Tariffe ferme da almeno 20 anni, e i posti non bastano più». Saffioti e Casamenti: «Nella nostra provincia manca un milione. Se si va avanti così costretti a tagliare attività e personale».

È una questione di cifre ma soprattutto di persone: quelle che necessitano di un percorso terapeutico adeguato e i professionisti che possono garantirlo. Se il tema del disagio psichico è spesso al centro della cronaca, oltre che nelle dichiarazioni di principio delle istituzioni, la realtà dei fatti racconta di un cono d’ombra irrisolto da lungo tempo: per le comunità psichiatriche gestite dal privato sociale – un pilastro del sistema sociosanitario – i fondi appaiono sempre esigui. Insufficienti per fabbisogno crescente e anacronistici rispetto alle criticità del presente. In Lombardia servirebbero 10-11 milioni di euro, uno in Bergamasca.

«Nella Bergamasca il problema è molto forte,perché gran parte della riabilitazione psichiatrica è a carico del privato sociale»

Il sistema

Le «tariffe», cioè il contributo che la Regione eroga ai gestori delle strutture contrattualizzate che accolgono pazienti per conto del servizio sanitario, sono sostanzialmente congelate da vent’anni. Nel frattempo il mondo è cambiato profondamente: la pandemia ha infiammato il malessere mentale, i contratti collettivi del personale sono stati ritoccati, la cura è stata aggiornata ai tempi. Eppure, per allineare le risorse regionali servirebbe una cifra relativamente contenuta: circa 10 milioni di euro per l’intera Lombardia, a fronte di un bilancio regionale che cuba in tutto 34 miliardi di cui 24 destinati all’intero comparto sociosanitario. È questo l’incremento che, secondo gli addetti ai lavori, occorrerebbe per assicurare la sostenibilità del comparto.

Un nuovo appello

Partendo da questa evidenza si alza un nuovo appello alla Regione, e in particolare all’assessorato al Welfare che fa capo a Guido Bertolaso. «Le tariffe riconosciute alle comunità psichiatriche del privato sociale sono ferme da più di vent’anni: allora erano buone, adesso sono ridotte all’osso», è la sintesi tratteggiata dallo psichiatra Carlo Saffioti, direttore sanitario della Fondazione Bosis e rappresentante del privato sociale nell’organismo di coordinamento sulla salute mentale e sulle dipendenze costituito presso l’Ats. «La goccia che ha fatto traboccare il vaso – prosegue Saffioti – è stato l’aumento, certo doveroso, del contratto dei dipendenti delle cooperative, cui fa riferimento la gran parte degli infermieri, degli Oss e di altre figure al lavoro nelle strutture. Questo si riverbera su chi gestisce e amministra le comunità residenziali: nella Bergamasca il problema è molto forte, perché gran parte della riabilitazione psichiatrica è a carico del privato sociale».

Le proposte in campo

Ma qual è, a livello economico, la dimensione della «partita»? Da tempo sono in corso interlocuzioni a livello regionale tra i dirigenti del Welfare e i rappresentanti del settore. Secondo quanto trapelato finora, la Regione avrebbe calcolato un impatto medio del 2,8% dei costi di gestione legato a quel rinnovo contrattuale, e l’incremento di ciò che viene riconosciuto ai gestori – che effettuano un servizio per conto del sistema sanitario – potrebbe essere di questa misura. Sarebbe però un ritocco non soddisfacente: «Innanzitutto il 2,8% è un impatto medio calcolato su tutte le strutture, e alcune hanno oneri più rilevanti – spiega Saffioti –, e poi riguarda solo quanto determinato dal rinnovo contrattuale del personale e non tutti gli altri extra-costi avuti in questi due decenni e il cambiamento delle patologie, ora molto più impegnative. Per poter sopravvivere, comunque tirando la cinghia, il nostro settore ha proposto un +10%, scendendo poi al +5%».

«Il rischio, senza un intervento migliorativo, è che le comunità arrivino a tagliare quel personale che invece garantisce la qualità del servizio»

Ecco, «quel +5% è la nostra linea del Piave – è la metafora di Saffioti –: sotto quella soglia si mette in crisi un sistema che qualifica l’attività della Lombardia ai massimi livelli in Italia. Per questo facciamo appello alla Regione e all’assessore Bertolaso. tra l’altro parliamo di cifre che nel bilancio regionale sarebbero piccole: quel +5% equivale, per l’intera Lombardia, a circa 10-11 milioni di euro». In proporzione, per Bergamo manca circa un milione di euro.

Una presenza preziosa

«Non è solo una questione economica», prosegue Raffaele Casamenti, referente dell’Area Psichiatria dei progetti territoriali della cooperativa Aeper e rappresentante del privato sociale – insieme a Saffioti – al tavolo provinciale. «Il rischio, senza un intervento migliorativo, è che le comunità arrivino a tagliare quel personale che invece garantisce la qualità del servizio o a rinunciare ad alcune attività, che sono invece un elemento fondamentale nel percorso di cura degli ospiti».

Realtà capillare e preziosa

È una realtà capillare e preziosa, in Bergamasca, quella delle comunità psichiatriche. Casamenti ne traccia il perimetro. «A livello residenziale, a fronte di 421 posti letto totali nell’intera provincia, quelli del privato sociale sono 276 (circa due terzi del totale, gli altri 145 sono di enti pubblici, ndr), divisi in 15 comunità. Per le strutture semiresidenziali, cioè i centri diurni, il privato sociale mette a disposizione 85 posti sui 296 di tutta la Bergamasca (quasi il 30% del totale dei posti, gli altri sono pubblici, ndr), grazie a 5 strutture».

Servono nuove risorse, in tempi rapidi. «Dopo l’introduzione dei primi scatti progressivi – approfondisce Casamenti -, proprio da ottobre il nuovo contratto collettivo delle cooperative è andato a regime, con un aumento complessivo del 13,2%. Limitarsi al +2,8% sarebbe largamente insufficiente».

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