Omicidio di via Novelli, le motivazioni della condanna: «Eventi concatenati, ma ha voluto colpire»

Via Novelli . Le motivazioni della condanna a 21 anni al giovane che ha ucciso un 34enne davanti a moglie e figlie. «Una concatenazione di eventi ha portato al litigio. Ma poi l’imputato ha intenzionalmente accoltellato la vittima».

Sarebbe bastato che uno degli eventi di cui è concatenata la vicenda fosse andato diversamente, e questo omicidio non sarebbe mai avvenuto. Lo scrive la Corte d’assise di Bergamo nella sentenza con cui a novembre ha condannato a 21 anni per omicidio volontario aggravato Alessandro Patelli, il giardiniere 21enne che uccise a coltellate il tunisino di Terno d’Isola Marwen Tayari nel corso di una lite scoppiata alle 13 di domenica 8 agosto 2021 in via Novelli a Bergamo, davanti a moglie e figlie (2 e 12 anni) della vittima. Il presidente della Corte Giovanni Petillo, che firma le 23 pagine di motivazioni, parla espressamente di «sliding doors», porte scorrevoli, come il film di successo che racconta come sarebbe stata la vita, se le decisioni prese davanti a una situazione fossero state diverse.

Le «sliding doors» del delitto

E i giudici li elencano gli eventi che hanno contribuito a innescare il litigio sfociato nell’omicidio. La famigliola della vittima, dopo aver fatto acquisti in centro, stava tornando verso il treno che l’avrebbe riportata a Terno d’Isola. «Avrebbe raggiunto in pochi minuti la stazione ferroviaria se, giunto all’altezza di via Novelli, Tayari non avesse notato una persona con la barba lunga e l’abbigliamento trasandato e avesse deciso di fermarsi per scambiare qualche parola con lui», scrive Petillo. E poi: «L’incontro tra i due si sarebbe rapidamente esaurito, se il Tayari non avesse deciso di accettare l’offerta di un pezzo di pane e formaggio che l’uomo stava mangiando e non avesse poi deciso di ricambiare il favore donandogli un paio di calzini appena acquistato». Nel frattempo, la moglie e la figlia maggiore, «stanche e accaldate, avevano pensato di riposarsi, sedendosi sui gradini antistanti il portone di ingresso della palazzina ubicata al civico 4 di via Novelli».

La casa dove all’epoca Patelli, ora agli arresti domiciliari nell’hinterland della città, abitava con la famiglia. Proprio «in quegli stessi momenti», sottolinea la coincidenza la Corte, l’imputato stava dormendo «fino a tardi come era sua consuetudine nei giorni festivi». «Avrebbe continuato a dormire, non fosse che» la madre lo svegliò con una telefonata per avvertirlo che il fratello aveva avuto un incidente ed era in ospedale. Così Patelli uscì per andare a prendere il motorino in garage. Si sarebbe diretto subito a Trescore, nell’appezzamento di famiglia, «se non si fosse accorto di non avere con sé il casco, lasciato a casa».

Lo screzio con Tayari

Ed è a questo punto che il ragazzo viene a contatto una prima volta con Tayari. E qui i giudici fanno capire che non è solo il caso all’origine del delitto. Nel salire i gradini per tornare a casa a prendere il casco, Patelli urta la figlia maggiore del tunisino. Il quale lo invita a stare attento. Il ragazzo ha una reazione stizzita, protesta perché ogni volta per entrare in casa sua deve chiedere il permesso a chi si siede davanti all’uscio. Quando ridiscende in strada Patelli indossa il casco e impugna il coltello. E pronuncia una frase che per i giudici è significativa per escludere la legittima difesa invocata dall’avvocato Enrico Pelillo: «Vieni qua adesso se hai i co…». Si innesca così una colluttazione, con il tunisino disarmato dopo che aveva posato a terra la bottiglia di birra che stava bevendo. Che il giardiniere abbia sferrato i colpi intenzionalmente, lo dimostra l’autopsia, secondo i giudici: il giovane ha utilizzato il coltello «in modo penetrante»; ha reiterato i colpi (le ferite sono sei); ha attinto parti vitali come collo e cuore.

«Perché non è legittima difesa»

Ed è la provocazione di Patelli, per la Corte, che origina il duello. Dunque, niente legittima difesa, perché, si legge nelle motivazioni, «la scriminante non può essere invocata se la situazione di pericolo è volontariamente cagionata dal soggetto che reagisce». Inoltre, per la Corte, non c’è proporzione tra offesa e difesa. I giudici osservano, poi, che la reazione deve essere «connotata da inevitabilità», mentre l’imputato poteva sottrarsi alla lite, «allontanandosi e mettendosi in sella alla sua moto». Secondo la Corte, è «difficile» che Tayari prendesse «l’iniziativa di avventurarsi in una lite per strada, visto che si trovava insieme alla famiglia, e soprattutto alle due figlie minori».

E pure la legittima difesa putativa, invocata in subordine dall’avvocato Pelillo, e cioè, la valutazione errata di trovarsi in pericolo e di doversi difendere, non viene riconosciuta dai giudici, stante la «giusrisprudenza in materia molto rigorosa e restrittiva, evidentemente allo scopo di evitare che l’errore possa essere facilmente accampato come agevole scusa per allontanare da sé ogni responsabilità penale».

«Sussistono i futili motivi»

Riconosciuta anche l’aggravante dei futili motivi, «determinata da uno stimolo lieve e banale, quale quello scaturito dal rimprovero, peraltro del tutto giustificato, che la vittima aveva fatto all’imputato». E «non ha importanza il fatto che la molla del suo (dell’imputato, ndr) sconsiderato agire possa essere ulteriormente caricata dal fastidio di essere stato svegliato, dalla preoccupazione per la salute del fratello o dal risentimento per abitare in una zona che, per trovarsi nei pressi della stazione ferroviaria, è frequentata da extracomunitari o persone poco raccomandabili».

«Patelli guascone per l’età»

La Corte osserva che va considerato l’effetto che la «giovane età» di Patelli ha avuto «sul suo insensato agire». Al momento del fatto l’imputato aveva 19 anni, dunque «pienamente imputabile». Ma «è altrettanto vero che si trovava ancora nello stadio evolutivo della personalità», nel quale «l’individuo può essere influenzato o addirittura sopraffatto dal dominio dei sensi o da stati emotivi». Sicché, il «fare guasconesco» con cui ha affrontato Tayari può essere stato indotto anche «da quella sorta di esuberanza giovanile propria di un’età non pienamente matura». Per questo motivo la Corte ha ritenuto le attenuanti generiche equivalenti alle due aggravanti (futili motivi e il fatto commesso davanti a minorenni, le due figlie della vittima) .

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