Omicidio a Mapello, Stefania uccisa per i confini del capannone

IL DELITTO. Una contesa catastale sull’immobile che divide la villetta della vittima e quella dell’assassino potrebbe essere il movente dell’omicidio. Il cugino non parla davanti al gip: poco lucido, lo farà più avanti col pm.

Il capannone che divide le villette di vittima e assassino. È da questioni su questo fabbricato che probabilmente scaturiscono l’omicidio di Stefania Rota, 62 anni, e un giallo dal perimetro assai limitato, durato lo spazio di tre settimane: dalla scoperta del cadavere il 21 aprile all’arresto del responsabile il 13 maggio. Ivano Perico, il 61enne finito in carcere per omicidio volontario, e la cugina in seconda avevano avuto da ridire sull’immobile, la vecchia officina di via XI Febbraio a Mapello dove il padre di Stefania, Giuseppe detto «Pastùr», lavorava come fabbro e che negli ultimi anni la 62enne aveva affittato come deposito alla ditta edile Andreani. Attriti più di natura catastale che economica. Insomma, pare una contesa sui confini delle rispettive proprietà, che per lungo tempo è rimasta sopita e che dev’essere esplosa recentemente, portando al litigio dell’11 febbraio scorso, al culmine del quale il cugino ha perso la testa e ha aggredito la donna nell’abitazione di quest’ultima.

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Lei l’hanno trovata 69 giorni dopo con indosso le scarpe e il vecchio cappotto di loden. Era riversa sul tappeto del soggiorno. Le lesioni sulla parte posteriore del capo, la ferita lacero contusa sulla fronte e le fratture all’altezza del collo per chi indaga sono compatibili con il dolo d’impeto. Quello che è successo dopo è invece il maldestro tentativo di farla franca da parte di uno che s’è ritrovato assassino all’improvviso. Illuso che bastasse chiudere a chiave la porta della casa che celava un cadavere per occultare definitivamente la scena del delitto. Convinto che fosse sufficiente spostare l’auto della vittima per far credere a tutti che la cugina fosse al mare per assistere un anziano. Lasciando, insomma, che fosse il tempo a compiere ciò che lui non ha avuto il coraggio o la perizia di fare: cancellare le prove all’interno di quella villetta che molto aveva ancora da raccontare, a cominciare dall’agenda su cui Stefania annotava i movimenti di giornata e qualche impressione intima: «Attenta, Ste, a Ivan… ma questo già lo sai».

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Ma per quanto poteva durare? In fondo, lo sapeva anche Ivano che prima o poi quella porta si sarebbe aperta e il cerchio si sarebbe stretto. Non è escluso che puntasse a guadagnare ancora qualche periodo da uomo libero. Ma intanto si macerava, preda forse del rimorso per quanto compiuto, sicuramente dell’ansia di chi è costretto a vivere circospetto, attento a non fare passi falsi e a non tradirsi, come un latitante.

E dire che inizialmente quest’omicidio sgocciolante di indizi rischiava di trasformarsi in delitto perfetto. Perché il caso era sull’orlo dell’archiviazione come morte naturale, dal momento che, da un primo, superficiale esame medico, le lesioni sembravano compatibili con una caduta causata da un malore e il nullaosta alla sepoltura era già pronto. Ma c’era già molto che non tornava. A cominciare da quella porta chiusa a doppia mandata senza che all’interno ci fossero le chiavi; per passare dall’auto che Stefania era solita parcheggiare in cortile e che invece non si trovava; e finire con la borsetta e il cellulare vecchia generazione spariti. Poi i carabinieri della sezione operativa di Bergamo riscontreranno quelle 109 telefonate ricevute da lei e partite dall’utenza d Perico, che – guarda caso – si interrompono l’11 febbraio, giorno del delitto.

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«Personalità violenta e pericolosa per l’incolumità altrui», scrive il gip Massimiliano Magliacani nell’ordinanza di custodia cautelare. Non è un mostro, confida chi lo conosce bene, solo un uomo che, dopo una vita brillante e qualche rovescio finanziario, ultimamente era depresso e usciva poco di casa. E che l’11 febbraio, nel pieno di una lite, non è riuscito a dominare i propri istinti.

Mentre martedì i carabinieri tornavano a fare sopralluoghi nell’abitazione di Stefania, Ivano sceglieva di avvalersi della facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia in carcere, cui ha partecipato anche il pm Letizia Ruggeri. «Nei prossimi giorni approfondiremo la questione e valuteremo la strategia difensiva», si limitano a dichiarare gli avvocati di fiducia Stefania Battistelli e Piero Pasini, che oggi torneranno in via Gleno per confrontarsi col proprio assistito. Il 61enne adesso come adesso è troppo provato e poco lucido per sostenere un interrogatorio che si annuncia come una confessione torrenziale. Probabile che più avanti chieda di essere sentito dal pm. Perico ha già ammesso le proprie responsabilità al momento dell’arresto e lo raccontano come desideroso di ricostruire anche davanti al magistrato per liberarsi di tutto ciò che s’è tenuto dentro dall’11 febbraio. Il giorno in cui ha iniziato la sua nuova vita da omicida, tentando invano di far finta che tutto fosse come prima, mentre lì accanto, oltre il capannone della discordia, la villetta della cugina cominciava a custodire un mistero e, scritta su un’agenda, la sua soluzione.

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