Pronto soccorso, è allerta: «Ora casi più complessi. E i bandi vanno deserti»

ASST PAPA GIOVANNI. Cosentini: vengono utenti con cancro in stato avanzato. Tondini: la medicina del territorio soffre. Pezzoli: non si trovano sostituzioni. Leggi l’approfondimento di due pagine su L’Eco di Bergamo in edicola sabato 10 giugno.

Da un lato una carenza ormai quasi strutturale di risorse umane, accompagnata da investimenti che sono inferiori alle reali necessità, dall’altro una medicina del territorio (medici di base e continuità assistenziale) in sofferenza, affiancata da una riduzione dei letti per acuti negli ospedali: il risultato è che i pronto soccorso sono «schiacciati» e diventano l’unico punto di riferimento per le cure anche non urgenti, mentre nello stesso tempo aumentano le attese negli accessi perché non si riesce a smistare con rapidità i pazienti che hanno bisogno di un ricovero, generando così quell’«effetto imbuto» che la popolazione lamenta: anche 8 ore di attesa perché un codice verde possa essere preso in carico.

La lezione del Covid

«Mi si passi il paradosso, il pronto soccorso ha svolto alla perfezione il suo lavoro in piena era Covid, in una grave situazione di emergenza: accessi di malati per tutto il giorno, ma anche fino a 80 ricoveri al giorno; certo, tutto l’ospedale era convertito per il Covid, ma ora stentiamo nei tempi dei ricoveri, rispetto alle necessità», rimarca Roberto Cosentini, direttore del Centro Eas (Emergenza ad alta specializzazione) dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Era una situazione eccezionale, quella della pandemia, quando il «Papa Giovanni» ha subito uno stress-test pesantissimo e ne è uscito vincente. Adesso, con i numeri tornati all’era prepandemica, c’è una «spia» che sta segnalando un problema più vasto, che va ben oltre i muri dell’ospedale. «Arrivano molti casi complessi per altre patologie, non solo legati ai traumi – rimarca Roberto Cosentini – . Non mi era mai capitato prima d’ora di accogliere pazienti arrivati al pronto soccorso per disturbi vari e scoprire che erano colpiti da tumori in stato avanzato: è successo più volte di indirizzarli direttamente all’hospice. Un segno che la rete per le cure palliative funziona certamente, che il pronto soccorso del “Papa Giovanni” e tutto l’ospedale godono di una fortissima attrattività da parte della popolazione. Ma anche di ritardate diagnosi per un primo contatto medico difficile o che non c’è stato, o prese in carico rallentate di malati complessi, come gli oncologici. E questo prima di arrivare al filtro del pronto soccorso».

Spazi per ricoveri

La fotografia di qualcosa che, nel sistema sanità, è in forte sofferenza: le risposte che i cittadini ricevono dalla medicina di base e dalla continuità assistenziale risultano insufficienti. «Precisiamo un paio di dettagli, non trascurabili, dal punto di vista oncologico: tra i dati dell’incidenza dei tumori nell’era prepandemica e quella di oggi non ci sono variazioni, ed è troppo presto per capire se ci siano casi di tumore in aumento, anche attraverso le cifre della mortalità – rimarca Carlo Tondini, responsabile dell’Oncologia medica dell’Asst Papa Giovanni XXIII – . Non ci sono dati ancora sufficienti. Ma è corretto dire che stiamo riscontrando casi di ritardata diagnosi. Mi viene spontaneo affermare che dalla durissima lezione del Covid, quando tutto il sistema si era accorto che andava preservata e rafforzata la sanità pubblica e ripensata la sanità territoriale, non si è imparato nulla. Il mondo sanitario ha saputo reagire a un dramma così inatteso e imprevedibile come la pandemia. Non l’ha fatto la politica sanitaria: il territorio aveva mostrato segni di sofferenza, quei segni ci sono ancora. Peggiorati. Così succede che malati di tumore, che non sanno più come farsi prescrivere una ricetta con bollino verde per una visita urgente, perché non hanno il medico, perché la guardia medica non c’è o non può farlo, siano costretti a recarsi al pronto soccorso per riuscire ad ottenerla».

I numeri, peraltro, degli accessi al pronto soccorso dell’Asst Papa Giovanni, segnalano un aumento dei casi complessi, rispetto al 2019, quando non era ancora scoppiata la pandemia: nei primi 4 mesi del 2023 gli accessi globali per tutta l’Asst Papa Giovanni sono stati 36.558, nel 2019 erano 40.664, «un dato in linea al preCovid – rimarca Fabio Pezzoli, direttore sanitario dell’Asst – . E gli accessi giornalieri sono in media oggi, al pronto soccorso generale del “Papa Giovanni”: 124 persone nel 2023 contro le 131 del 2019. Nel contempo assistiamo a un aumento sia dei codici rossi, sia di quelli verde scuro, passati dal 13% del totale al 29%. Abbiamo i bed manager, 2 infermieri e un medico, che possono agevolare pazienti in ingresso e uscita ma gli accessi più complessi richiedono maggiore tempo, maggiori esami, maggiore energia per gestirli». Attualmente, spiega Cosentini, il tempo medio di attesa al pronto soccorso del «Papa Giovanni» è di 4 ore, «ma in questa media, c’è l’attesa zero per i codici rossi, ma anche le 8 ore e più dei codici verdi chiaro e bianco. E a causare le attese ci sono tanti fattori». Le mancate risposte del territorio. E pure la difficoltà a ricoverare dal pronto soccorso «perché più casi complessi significa avere più spazi per i ricoveri. E se gli esistenti sono già occupati, con il personale già impegnato a gestire quelli, ecco che si forma l’imbuto». spiega Cosentini. E aggiunge: «Non parlerei quasi più di accessi impropri, perché la popolazione deve poter avere risposte di salute ai suoi bisogni, se non trova una prima soluzione sul territorio. Piuttosto bisogna focalizzare investimenti e risorse su una riorganizzazione del sistema. L’imbuto si crea anche perché non si trovano spazi per i pazienti da ricoverare, e non necessariamente in ospedale. Spesso chi deve essere dimesso occupa a lungo posti che servirebbero ad altri: per i subacuti c’è difficoltà a trovare spazi adeguati, dalle Rsa fino a strutture più leggere».

Bandi deserti

È un circolo vizioso: i pazienti cronici vengono accolti in ospedale, quando dovrebbero avere posti altrove, questo crea intasamenti nei reparti che hanno meno spazi per le acuzie e quindi «ingolfa» il pronto soccorso. E via così. «Questi imbuti – aggiunge Cosentini – sono anche disincentivanti per chi vorrebbe fare il medico d’urgenza e invece si trova a fare altro. C’è anche questo tra i motivi che scoraggiano ad abbracciare la medicina d’urgenza. Le carenze di personale sono pesanti».

Trovare rinforzi è un’impresa: è stata lanciata di recente una manifestazione d’interesse dal «Papa Giovanni» per individuare medici interni che, sulla base dell’ultimo decreto Bollette, fossero disponibili a lavorare per alcune ore, fuori turno, al pronto soccorso, con una remunerazione extra: «Non ha risposto nessuno, zero adesioni», sottolinea Pezzoli. Per «rompere» questo meccanismo che riguarda un po’ tutti gli ospedali, sono avviati tavoli regionali per una riorganizzazione dei pronto soccorso. «Il primo punto su cui lavorare è quello della cosiddetta admission room, uno spazio alternativo ed esterno al pronto soccorso dove collocare, con équipe e personale dedicati, i pazienti in attesa di ricovero. E lo stesso per le dimissioni. Occorrono più investimenti nell’intero sistema, per le risorse umane – evidenzia Cosentini –. Più una diversa organizzazione nella presa in carico dei casi complessi: un lavoro cruciale; arriverà a breve la revisione dei codici d’accesso, ma questa richiede una riorganizzazione della presa in carico. E per farlo servono fondi, da investire sul personale, in primo luogo». Che è comunque insufficiente: «Nonostante si sia investito per aumentare il personale –  evidenzia Pezzoli – , siamo a 33 medici, tra Bergamo e San Giovanni Bianco, fino a poco tempo fa erano 25, ma l’organico ideale sarebbe di 39.

E per gli infermieri è lo stesso. Il Papa Giovanni è un ospedale attrattivo e i medici di urgenza si troverebbero, come dimostra l’aumento di organico e l’assenza di cooperative, ma si deve fare i conti con le disponibilità di fondi, con la carenza di professionisti che non accedono nemmeno più a contratti a tempo determinato, o a sostituzioni. E poi c’è la questione degli spazi: per una admission room, per esempio, al “Papa Giovanni” ora non ci sono. Però nonostante tutto, e va evidenziato, nel nostro pronto soccorso si è sempre data una risposta, adeguata e professionale, a tutti».

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